di Domenico Cacopardo
10 marzo 2020
Certo «#iostoacasa», ma seguendo il suggerimento del mio amico pneumologo (il mio doc personale che gli istituti di chirurgia toracica, oncologia e pneumologia hanno designato a seguire il mio caso postoperazioni. Mi dice un excollega di Napoli: per noi fantascienza), ho fatto una passeggiata. Come del resto sabato.
Ieri no perché pioveva (in Val di Ceno a pochi chilometri da Parma, nevicava: 40 cm).
Un’oretta di camminata con cautele: mascherina ffp3 e guanti di lattice. Nonché adeguata distanza con gli altri cirenei, pochi, che appaiono, anime perse, sui marciapiedi. Sono stato anche al Parco Ducale e l’ho trovato quasi deserto. I pochi utenti erano joggers o salutisti intenti a onorare un percorso, appunto, salutista. Al massimo 10 persone, me compreso.
La temperatura mite, il sole caldicello, mi hanno indotto a sedere su una panchina e a sfogliare i giornali. La Gazzetta di Parma dedica più di dieci pagine a informazioni di servizio, tutte connesse all’epidemia. Tra esse una buona notizia: nella giornata di domenica solo 3 casi nuovi di infezione da Coronavirus. Un netto salto indietro rispetto a sabato (49).
Non ci si deve illudere, continuando a tenere la guardia ben alzata.
Rassicurante la scelta dell’Ospedale Maggiore di trasformare le palestre di riabilitazione di un padiglione, in camerate di degenza.
Mi viene da pensare, se non fosse per il tempo trascorso dalla Spagnola o da precedenti epidemie, un lazzaretto. Certo, la situazione igienico-sanitaria è ben diversa dal passato remoto, ma dal punto di vista concettuale la similitudine non ha connotazioni negative ed è corretta. Questa scelta vuol solo dire che le tradizionali cliniche ospedaliere sono sature e che l’amministrazione cerca - e trova - spazi supplementari per accogliere gli altri pazienti che, presumibilmente, si presenteranno ai varchi dell’apposito triage.
Emerge anche qualche incongruenza dell’ultimo decreto della presidenza del consiglio. Per esempio, visto che si può uscire solo per necessità, perché bar, gastronomie e ristoranti possono restare aperti sino alle 18? Qual è la necessità immediata, indilazionabile che spinge qualcuno a uscire per recarvisi?
Mi torna lo scrupolo di coscienza: ma io (83 anni) non ho contravvenuto alle norme lasciando la mia abitazione? Ma poi ho ripensato al discorso del dottor Mori, lo pneumologo di cui sopra, che mi ha raccomandato: «Se c’è una bella giornata, esci e cammina. Un po’ d’esercizio fisico è vitale.»
Perciò, mi sono (auto)assolto, mi sono alzato e ho proseguito la camminata, osservando e constatando.
Quindi, qualcosa riferisco.
Le Poste hanno dimezzato le postazioni, distanziandole. L’ufficio che ho scrutato dall’esterno ammette un numero di utenti pari alle postazioni, 3. Quando esce uno, entra l’altro. La fila all’esterno è piuttosto nutrita (una decina di persone), in gran parte prive dei presidi di tutela (mascherine e guanti sanitari). Invece, dentro, il personale è pienamente attrezzato.
Così in farmacia: si entra solo quando una postazione s’è liberata e si fa la fila fuori. Bar, latterie e gastronomia sono aperti: clienti rari.
Insomma, la sensazione è che, rispetto a ieri -e ai dati devastanti diramati dalla Protezione civile- ci sia un miglioramento. Solo un tenue miglioramento però, niente di decisivo.
Incontro un amico, bardato come me. Ci salutiamo da lontano e poi, alla debita distanza, scambiamo qualche parola. Anzi, per la precisione mi chiede cosa ne penso dell’ipotesi di un supercommissario.
«Niente», gli rispondo, «anzi, se se ne parla vuol dire che qualcuno, a Roma, ne ha constatato l’esigenza.»
«E chi nomineranno?» insiste.
«Non io», taglio corto e agitando la mano come se fossi su un treno, lo saluto.