La casualità, diceva un famoso scrittore, in questo nostro mondo è il solo ordine possibile. Ne è sicuramente prova il misterioso caso legato al ritrovamento del preziosissimo Scudo di Garibaldi.
A dicembre 2019 l’evento è sulla bocca di tutti: il cimelio garibaldino viene rinvenuto a casa di un architetto romano. Dell’opera realizzata da Antonio Ximenes nel 1878, e custodita nel Museo Nazionale del Risorgimento di Roma, non si avevano notizie dai primi anni 2000.
Ma com’è possibile che un oggetto di così inestimabile valore - donato dal popolo siciliano a Garibaldi l’11 maggio 1878; e l’anno successivo da Garibaldi a sua volta donato alla città di Roma -, com’è possibile che scompaia di punto in bianco e che venga poi rintracciato a casa di un anonimo architetto romano?
Potremmo sintetizzare tutta la vicenda dicendo che c’erano le persone giuste al momento giusto. E queste persone si chiamano Paolo Macoratti, presidente dell’Associazione Garibaldini per l’Italia, e Leandro Mais, membro onorario della stessa associazione. Che raccontano minuziosamente l’accaduto in un articolo di poco tempo fa, dal titolo La vera storia del ritrovamento dello “Scudo di Garibaldi”.
Proviamo ora a ricostruire quello che è successo.
A Roma, Paolo Macoratti va a trovare un suo amico barbiere ormai in pensione. Dopo averlo sbarbato, l’amico barbiere gli racconta che un antiquario poco tempo prima ha cercato di vendergli uno scudo bronzeo, istoriato con figure d’ispirazione garibaldina. Ma era un oggetto eccessivamente costoso ed esclusivamente per cultori. Dal momento che Macoratti è un esperto di materia garibaldina, magari poteva essere interessato lui all’acquisto.
Non è immediato il collegamento tra la descrizione che ne fa l’amico barbiere e il ricordo della scomparsa dello Scudo di Garibaldi. Di cui si sapeva soltanto che agli inizi del 2000 era stato rimosso dall’esposizione del Museo perché qualcuno lo aveva danneggiato, rubando il bassorilievo del volto di Giuseppe Garibaldi al centro dell’egida.
Eppure qualche dubbio comincia a nascere, e Macoratti chiede di potersi mettere in contatto con l’antiquario per un eventuale acquisto.
Passano diversi giorni senza alcun segno da parte dell’antiquario. Mentre si trova ospite a casa di Leandro Mais, cui aveva accennato della proposta e dei suoi sospetti sulla possibilità che fosse il vero Scudo di Garibaldi, arriva un messaggio proprio dal tanto atteso antiquario. Con una foto dell’oggetto da collezione.
Adesso bisogna considerare la seconda, incredibile casualità di questa storia. Leandro Mais era l’unico a possedere nella sua collezione privata un’immagine dello Scudo così per com’era nel 1878 e una descrizione minuziosa tratta dagli articoli dell’epoca.
Non c’è nemmeno bisogno di dirlo: era lui. Proprio lui. Al centro, sporgeva una conchiglia sormontata dalla testa di Giuseppe Garibaldi. Una corona di quercia cinta da un nastro a fare da cornice. Diviso in otto raggi, in ognuno dei quali si potevano vedere gli stemmi delle principali città italiane o icone simboliche che rappresentavano la Carità, la Giustizia, la Gloria e la Scienza strategica. Tutto lo Scudo era contornato da un’ulteriore corona d'alloro dove c'erano incisi i nomi di tutti i Mille, sbarcati con l’eroe dei Due Mondi a Marsala.
E si trovava a casa di un architetto romano che sosteneva di averlo ricevuto in dono - l’ennesimo! - dal precedente presidente dell’Istituto del Risorgimento (oggi deceduto) come risarcimento per alcuni suoi incarichi non pagati.
Naturalmente, delle volontà del vecchio presidente nessuno ne era a conoscenza, eccetto l’architetto.
A questo punto, il resto è cronaca: viene allertato il Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri, che restituisce lo Scudo ai suoi altari.
«Ma perché meravigliarci della casualità della casualità?», si chiedeva Leonardo Sciascia. In fin dei conti, l’intero accaduto ha certo un carattere italianissimo.
Marco Marino