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15/03/2020 06:00:00

Il presente e la paura delle idee. Perché riscoprire Pasolini

 di Marco Marino

Perché ci pesano così tanto queste giornate di necessaria clausura? Non è semplicemente noia, né tantomeno un’intima rivendicazione della libertà negata. La ragione è da cercare piuttosto nella quantità sterminata di tempo che ci resta per pensare. Pensare: un’azione continuamente rimandata, in virtù di impegni reali - o supposti - che ci scagionano dalla tortura della riflessione.

Perché riflettere fa paura. Ci induce a confrontarci con le nostre “voci di dentro”, consapevoli che dentro di noi è facilissimo perdersi.

È questo, allora, il momento giusto per cominciare a conoscere davvero un uomo che fece del coraggio e della sfrontatezza dei suoi pensieri la sua principale vocazione. Mi riferisco a Pier Paolo Pasolini, un autore molto citato e poco effettivamente letto.

Ormai nelle nostre giornate il tempo per pensare e per leggere abbonda. E per queste ultime ore (ma anche per le prossime) una lettura necessaria è sicuramente la monografia di Lavinia Spalanca, Pier Paolo Pasolini. Polemico Passionale Proteiforme con cui si apre la nuova collana di Navarra Editore chiamata Polemos. Diretta dalla stessa Spalanca, cui ho rivolto alcune domande sul suo lavoro.

Vorrei cominciare parlando della collana appena nata, Polemos.

Il titolo è sicuramente indicativo. L’intento è restituire uno spaccato del nostro paese, dalla fine dell’Unità d’Italia ai nostri giorni, attraverso il filo rosso dell'impegno, della polemica. Il taglio della collana non vuole essere specialistico. È destinata, infatti, ai lettori interessati ai problemi d’attualità. Per questo i suoi libri sono stati pensati quasi come dei manuali didattici, molto agili ed efficaci, in cui sarà possibile vedere tutti gli aspetti dell’opera di un autore, comprenderla nella sua complessità.

Il primo autore, Pier Paolo Pasolini.

Che è stato lo spirito polemico per eccellenza. Abituato a polemizzare in televisione, sui giornali: per i dettami della cultura ufficiale, ha incarnato lo spirito della disobbedienza.

Tra i volumi previsti ce ne sarà anche uno dedicato a Eugenio Montale. Per Pasolini lo intuiamo subito, ma in che modo Montale era disobbediente?

Naturalmente, viene ricordato come uno dei maggiori poeti del Novecento, ma all’interno della collana i riflettori saranno puntati su testi di impegno, soprattutto sulle prose - e anche sulle liriche - legate ai temi dell’antifascismo, dell’analisi della società di massa. Inoltre, sarà possibile notare, tra i diversi libri che abbiamo pensato, un rapporto intertestuale. Nel nostro Montale si ripercorrerà, ad esempio, la polemica avuta con Pasolini.

Ritorniamo a Pasolini. Nei tre aggettivi che compogono il sottotitolo del libro, c’è anche “Proteiforme”. Molti critici - penso a Siti, Berardinelli - hanno spesso sottolineato che l’eccessivo sperimentalismo di Pasolini, lo portava inevitabilmente all’imperfezione...

Pasolini riesce ad avere ragione anche quando ha torto. Mi spiego meglio. Il bello della sua personalità consiste proprio nella sua capacità di sfruttare i suoi errori, dovuti anche a un non specialismo. La sua intelligenza, la sua perspicacia, il suo intuito sta nel riuscire a trasformare gli sbagli, le ingenuità, lo spontaneismo interpretativo in un aspetto centrale del suo sperimentare.

Può farci un esempio?

Per esempio nel teatro. Fu molto criticato quando tradusse l’Orestea di Eschilo, messa in scena a Siracusa da Vittorio Gassman. L’accusa era che la traduzione non avesse quasi nulla di filologico. Eppure quella traduzione ha rivoluzionato il modo di fare teatro, fondando una lingua nuova per portare i classici sulla scena. Oggi, nessuna rappresentazione classica può prescindere dal suo modello.

Spesso la figura di Pasolini è stata accostata a quella di Leonardo Sciascia. L’anno scorso, a Casarsa, c’è stato un importante convegno su questa coppia di intellettuali eretici. Che ruolo avrebbero nel nostro presente personalità come loro?

Conversando con Fabrizio Catalano, nipote di Leonardo Sciascia, ci chiedevamo come mai oggi si dia così poco spazio alla figura degli intellettuali. Ci chiedevamo se mancano loro, gli intellettuali, o se manca uno spazio pronto ad accoglierli. Se oggi Pasolini e Sciascia fossero vivi, nel dibattito televisivo o su internet, che spazio verrebbe dato loro? Senza dubbio uno più esiguo rispetto a quello cui erano abituati.

Da cosa è dipeso?

Lei ricorda alcune interviste televisive fatte a l’uno o all’altro? Nelle qualità dei loro interlocutori, la loro capacità di elaborare un pensiero presupponeva tempo e attenzione e ascolto. Oggi sono qualità che nella comunicazione mediatica vengono a mancare del tutto. S’è appiattita e involgarita, la comunicazione. Se oggi Pasolini provasse a provocare con intelligenza un interlocutore qualunque, rischierebbe di essere bersagliato volgarmente.

Lei sostiene, quindi, che c’è un problema strutturale: mancano gli spazi e la capacità d’ascolto. E gli scrittori?

Figure come quelle di Pasolini e Sciascia sono figlie di un’epoca. Non credo però che la colpa sia degli scrittori, ancora oggi ci sono ottime figure di intellettuali, penso ad Antonio Scurati. Probabilmente sono cambiate le modalità, il sistema stesso. Un tempo il Corriere della Sera consentiva a Pasolini di avere una rubrica in cui poteva scrivere di questioni scottanti, come l’aborto o il divorzio. Ai nostri tempi, paradossalmente, anche se pensiamo di vivere in un clima di grande libertà e democrazia, Pasolini verrebbe censurato. Ecco, in un contesto simile, è possibile che uno scrittore preferisca il ripiegamento all’esposizione pubblica.