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15/06/2020 06:00:00

Vaccarino e Zappalà stavano indagando sull’ok di Messina Denaro alle stragi del ’92

 L’accusa ha già chiesto 7 anni di reclusione per Antonio Vaccarino. Giovedì prossimo, a Marsala, ci saranno le repliche delle parti ed il 2 luglio la sentenza.

L’ex sindaco di Castelvetrano era stato arrestato insieme a due carabinieri (il colonnello Marco Alfio Zappalà della Dia di Caltanissetta e Giuseppe Barcellona, appuntato scelto), per “concorso in rivelazione di segreto d’ufficio” e “favoreggiamento personale” aggravato dall’aver agevolato la mafia.

 

Intanto però, come ha riportato l’Agi, il procuratore aggiunto Gabriele Paci nella sua requisitoria al processo nisseno a Matteo Messina Denaro come mandante delle stragi di Capaci e di via d'Amelio del 1992, “ha ricostruito gli equilibri all’interno della mafia di Trapani, che fino agli anni novanta era stata identificata con don Ciccio Messina Denaro, padre di Matteo, e Mariano Agate.

Entrambi però, in prossimità delle Stragi si sfilarono dalle riunioni determinanti. Comprese quelle del settembre-ottobre 1991 alle quali avrebbe invece partecipato il figlio Matteo”.

Paci, oltre a dire che  “i trapanesi hanno fatto le loro fortune grazie a Riina, ma lui deve tutto ai trapanesi, basta pensare che nelle gare d'appalto i mazaresi arrivano sempre al risultato”, ha anche detto che “senza il consenso di Messina Denaro, Riina non avrebbe mai potuto ordinare le stragi del ’92 e l’attacco allo Stato.”

 

Si torna dunque a parlare di “mafia e appalti” come genesi delle stragi.

Una genesi alternativa a quella della “trattativa Stato-mafia”; la prima portata avanti dalla procura di Caltanissetta e la seconda dalla procura di Palermo.

Ma è in questo contesto che il colonnello della Dia di Caltanissetta Zappalà, anche attraverso Vaccarino, stava cercando elementi di conferma proprio su una di quelle riunioni del 1991.

Il colonnello e l’ex sindaco, infatti, in un’intercettazione riportata dagli investigatori, parlano di una persona che sarebbe stata disponibile a parlare di alcune riunioni di mafia avvenute a Castelvetrano, alle quali avrebbe partecipato anche Matteo Messina Denaro.

 

Riunioni in cui sarebbero state pianificate le stragi.

E per farlo, secondo Vaccarino, nell’autunno del 1991 sarebbe stata ordita l’operazione Palma nella quale era stato poi arrestato a causa delle dichiarazioni del controverso pentito Vincenzo Calcara. L’operazione sarebbe servita a sollevare un gran polverone per coprire proprio Messina Denaro, perché potesse agire indisturbato.

Tutto descritto, in modo molto dettagliato, in una lunga lettera che l’ex sindaco di Castelvetrano aveva inviato a diversi destinatari, tra cui l’autorità giudiziaria di Caltanissetta.

Vaccarino aveva individuato un testimone chiave (ne abbiamo parlato qui), che avrebbe potuto confermare parte del ragionamento spiegato da Paci durante la requisitoria.  

 

Alla luce di questo ci si chiede perché e come Vaccarino avrebbe avuto interesse ad avvantaggiare la cosca. A cosa sarebbe servito un dialogo di due tizi convinti (tra l’altro, erroneamente) che  il Santangelo avesse omaggiato delle spese del funerale la famiglia del pentito Lorenza Cimarosa?

 

L’accusa rende della principale intercettazione un’interpretazione molto discutibile.

Nel corso della requisitoria dello scorso 26 maggio, il pm Pierangelo Padova aveva affermato che Vaccarino, parlando con Santangelo, “non sapendo di essere intercettato, disse di Lorenzo Cimarosa ‘questo fango che si è pentito e si lanzò tutto”.

Dichiarazione che avevamo definito uno “scivolone” (leggi qui) e che trova forse la sua ragion d’essere nel modo criptico di esprimersi, caratteristico di Vaccarino, che al Santangelo aveva detto: “Con l’uso che tu sai di doverne fare e con la motivazione che la tua intelligenza sa che mi spinge, un colloquio tra due, secondo me pezzi di fango e nient’altro perché non ce ne è altri qua, eh dice c’è andato a fare il funerale fa finta a questo fango che si è pentito che si lanzò tutto…

 

Baldassare Lauria, legale dell’ex sindaco, nella stessa udienza del 26 maggio ha commentato così l’interpretazione del Pm: “Se fosse vero, ma non lo è, sarebbe un ragionamento assolutamente suggestivo. Dico non lo è perché se voi leggete lo stralcio della conversazione che peraltro il Pm vi indica in dialetto, vi rendete conto che Vaccarino ha detto l’esatto contrario”.

Il ragionamento ricostruttivo che da il Pm – ha aggiunto Lauria - è un vero e proprio sofisma che cerca di buttare polvere negli occhi per coprire un vuoto probatorio assoluto”.

Vedere Vaccarino come un affiliato di cosa nostra, ha aggiunto il legale, sarebbe frutto di “idee assolutamente malsane della Procura”.

E sulle foto della trascrizione dei dialoghi arrivati dall’account di posta elettronica di Zappalà, l’avvocato si è chiesto:

Ma sulla scorta di quale elemento, l’odierno imputato avrebbe dovuto capire che era una intercettazione segreta e non invece lo stralcio di un sentenza che riportava una conversazione?”.

 

L’accusa però sembra aver puntato molto sulla condanna di Vaccarino degli anni ’90, sostenendo che non c’è mai stata nessuna collaborazione tra l’imputato e l’Autorità Giudiziaria e non facendo alcun accenno all’istanza di revisione di quella condanna, in cui la stessa procura generale ha dato ragione all’ex sindaco.

L’avvocato Giovanna Angelo ha sottolineato anche che i contatti con l’Autorità Giudiziaria ci siano stati eccome, attraverso l’invio di diverse lettere alla procura di Caltanissetta, alla superprocura di Roma e al ministero dell’Interno.

 

Ad ogni modo saranno valutati i fatti relativi alle accuse contestate e non la storia di Vaccarino.

Io sono pagato per difendere il Vaccarino in relazione ad un semplice episodio – ha dichiarato Lauria - l’ipotesi di favoreggiamento attraverso la veicolazione di quei quattro fotogrammi che sono assolutamente muti”.

Come si diceva, dopo le repliche delle parti, la sentenza è attesa per il prossimo 2 luglio.

 

Egidio Morici