Sono stati ascoltati in aula a Palermo il presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè e l’assessore all’Energia Alberto Pierobon.
Il processo davanti alla quarta sezione penale presieduta da Bruno Fasciana vede imputati per corruzione, autoriciclaggio e intestazione fittizia di beni, il faccendiere ex consulente della Lega Paolo Arata, il figlio Francesco Paolo, il dirigente regionale Alberto Tinnirello e l'imprenditore milanese Antonello Barbieri.
La vicenda scaturisce dall’inchiesta della Dda di Palermo su un giro di tangenti alla Regione che avrebbero favorito Vito Nicastri e il suo socio occulto, Paolo Arata, nell’ottenere autorizzazioni per affari nell’eolico e nel bio-metano.
"Dopo aver ricevuto una telefonata di Alberto Dell'Utri, mi ha contattato Paolo Arata - ha detto Micciché rispondendo al pm Gianluca De Leo -. Lo feci per cortesia come faccio in queste occasioni, lo conosco da tempo perché eravamo colleghi parlamentari. Poi chiamai l'assessore Pierobon per sapere a che punto era la pratica di Arata, ma non sono mai entrato nel merito della vicenda".
Miccichè ha anche spiegato del perché del suo intervento: "Credo che tanti mali della Sicilia e della sua arretratezza dipendano dalla burocrazia. Arata mi disse che il progetto era fermo, e mi mossi solo per ridurre i tempi, ma non sapevo nulla del progetto".
"L'assessore alle attività produttive Mimmo Turano nel luglio del 2018 mi disse: "lascia perdere questo progetto, c'è gente dietro che non mi piace", - ha continuato Micciché - ma di questo non ho formalmente parlato a Pierobon. Erano delle sensazioni di Turano e sulla base solo di queste non ne avrei parlato al telefono rischiando di far morire un progetto".
Dopo è stato sentito dai giudici anche l'assessore Alberto Pierobon: "Ho avuto diversi contatti con Arata, ma di quello che ha detto Turano, nessuno mi ha riferito nulla, l'ho saputo dalla stampa. Chiesi al mio ufficio del progetto di Arata solo perché da mesi attendeva una risposta e bisognava fornirla".