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04/05/2021 06:00:00

Mafia, Araba Fenice: Capodieci si è pentito. Ma magari è "influenzato" ... 

 Francesco Capodieci si è pentito. Ha ammesso le proprie responsabilità rispetto l’organizzazione del traffico di stupefacenti contestata nel procedimento Bronx, manifestando l’intenzione di volere collaborare con la giustizia: «Sono in grado di riferire compiutamente sui soggetti che hanno fatto parte del gruppo dal 2013 al 2018, sul volume d’affari, sui profitti dell’associazione, sui rapporti con il clan Bottaro-Attanasio e altre organizzazioni mafiose», dichiarava a verbale. 

Così, il 12 aprile scorso, Francesco Capodieci è intervenuto da sito riservato e in presenza dell’avvocato Maria Carmela Barbera nel procedimento “Araba Fenice” a carico di Claudio Aprile e altri. «Io il clan di Pachino lo conosco dagli anni... ’95, quando […] ero un ragazzino al carcere di Brucoli. […] con il clan Bottaro – Attanasio eravamo vicino a Salvatore Giuliano e a tutti i ragazzi che appartenevano al clan di Giuliano. […] Alessio Attanasio mi raccomandò a Massimo Vizzini, a Massimo Caccamo, siccome ero un ragazzo […] mi raccomandò a queste persone di Pachino […]. A quell’epoca sapevamo che noi potevamo contare sia dentro le carceri, che fuori le carceri attraverso il gruppo di Pachino, che era guidato da Salvatore Giuliano, all’epoca. Poi uscendo, poi con gli anni crescendo, sapevamo che noi città di Siracusa potevamo sostenerci con il paese di Pachino, cioè c’era una alleanza con il clan Bottaro – Attanasio». 

I presunti incontri tra Francesco Capodieci e Salvatore Giuliano

Francesco Capodieci, classe 1977, nel 1995 - cioè quando era detenuto al carcere di Brucoli - era appena maggiorenne: è in quel periodo che riconduce il suo primo incontro con Salvatore Giuliano. Incontro che si rinnova, arricchendosi di particolari circostanziati, nel 2019 nel carcere di Cavadonna. «Io fuori (dal carcere, n.d.r.) non l’ho visto mai a Salvatore Giuliano. Ci mandavamo i saluti, ma non l’ho visto mai. Mi fece una domanda, come mai Alessio (Attanasio, n.d.r.) era stato messo da parte, era stato abbandonato. Io gli ho detto: “Salvatore vedi che non è così perché Alessio è stato sempre pensato da noi e da tutti noi. Poi, se ci sono spaccature, se ci sono state spaccature tra di noi, quello è un altro discorso, Noi lo pensavamo sempre ad Alessio. […] E tu come mai non l’hai pensato mai?”». A detta di Capodieci, Salvatore Giuliano gli avrebbe risposto: “Da me non è venuto mai nessuno”. 

Nel 2019, Capodieci era recluso al primo piano del blocco 20 mentre Giuliano, per il collaboratore di giustizia, prima del suo trasferimento dal carcere di Cavadonna (ovvero il giorno dopo questo presunto scambio) risiedeva al terzo piano dello stesso blocco insieme a Riccardo Di Falco, coimputato nel procedimento di Capodieci.

Il clan Giuliano era attivo in quel momento? 

Francesco Capodieci non ha dubbi: il quel periodo il clan Giuliano era attivo, a suo dire e per il sentire comune. «Noi dell’ambiente sappiamo: come sanno loro dei paesi, sappiamo noi della città, cioè negli ambienti criminali si sanno, tra detenzioni comuni… abbiamo saputo che quando Salvatore Giuliano è uscito ha dato una... diciamo una ‘sistemata’ a Pachino, cioè a Pachino era lui il responsabile». E si lascia scappare una considerazione a titolo personale: «Poi anche è un megalomane di testa. Un megalomane, ha idee grandi nella testa: pensava che Pachino doveva essere tutta sua, ma l’ha sempre fatto, lui». Bisca clandestina, usura, estorsione, riciclaggio, traffico di droga: sono queste le attività che Capodieci riconduce al clan Giuliano ma sulla partecipazione o meno di Salvatore Giuliano nel traffico di droga, rappresenta incertezze. «Non lo so se Salvatore Giuliano ne faceva parte, però l’usura, estorsione, bische, questo sì… riciclaggio… Aveva anche una azienda di ciliegino, di pomodoro», notizia che confessa di avere appreso da Luca Santoro, esponente del clan Cappello - Bonaccorso, con il quale condivideva la cella. «(Santoro, n.d.r.) diceva: “Menomale che in questa operazione non ci sono entrato”, perché c’era entrato Massimo Salvo, detto ‘il carrozziere’, suo padrino. Diceva: “Menomale che io non sono entrato”, e mi disse che dovevano fare questa azienda di pomodoro con i catanesi», confessando di essere sbalordito del fatto che non fosse stato arrestato nell’operazione Araba Fenice visto che Luca Santoro faceva parte in qualche modo del business legato ai magazzini ortofrutticoli.

Francesco Capodieci conosce gli imputati di Araba Fenice?

Per il sentire comune e dalle informazioni apprese per interposta persona, il collaboratore di giustizia è dunque chiamato a dettagliare le foto segnaletiche di quattro diversi soggetti già sottoposte a riconoscimento. Nella prima foto è ritratto Salvatore Giuliano. «Ribadisco la mia tesi: lo riconosco come responsabile di Pachino, cioè lui è indiscusso responsabile del clan di Pachino». Oltre a Luca Santoro, un altro soggetto avrebbe riferito a Francesco Capodieci informazioni su Salvatore Giuliano: Massimo Caccamo. «Veniva spesso nel nostro gruppo a comprarsi la cocaina per portarla a Pachino. Mi diceva che a Pachino non ce n’era cocaina. L’agevolavamo noi. Poi l’ho incontrato nel carcere di Cavadonna: lui era al blocco 50. Quando fu l’operazione, mi disse che era incappato un’altra volta con il clan Giuliano, che era la seconda volta che... […] Massimo Caccamo, uno dei fedelissimi di Salvatore Giuliano». Un’informazione che Capodieci fa risalire in principio al 1995, cioè a quando Alessio Attanasio lo raccomandò a Massimo Caccamo per sedare le sue turbolenze giovanili. Poi, trovò conferma in un momento successivo: «Mentre io andavo dall’avvocato, lui era al blocco 50. Mi disse: “Questa è la mia storia, se mi arrestano sempre per una persona, io la bandiera non la cambio mai», quando per ‘bandiera’ si fa riferimento al clan Giuliano. 

E i fratelli Aprile? Francesco Capodieci li conosce personalmente? «Io personalmente non li conosco», ammette. Tuttavia, ricorda la sua frequentazione alla bisca di Pachino tra il 2016 e il 2017, in una villetta fuori paese: «Tramite i giocatori sapevamo che questa attività la svolgevano per conto di Giuliano i fratelli Aprile, questa attività della bisca clandestina». E precisa il particolare che in caso di necessità di denaro, i giocatori potevano rivolgersi al responsabile della bisca descritto come un ragazzo con gli occhiali, che avrebbe chiesto ai fratelli Aprile. «Poi, so che (i fratelli Aprile, n.d.r.)  fanno… hanno fatto usura e traffici di droga». 

La trama a questo punto si infittisce. Se Francesco Capodieci non ha mai conosciuto personalmente i fratelli Aprile come ha fatto a riconoscerli sulla foto segnaletica? «Quando uscivano dal carcere, si facevano le fotografie sui social, sempre però su Facebook. Nel nostro ambiente criminale - precisa - si sanno chi sono le persone. Io personalmente non li conosco - ribadisce - sapevo che erano bravi ragazzi, che avevano a che fare con Catania, traffici di droga soprattutto con Massimo […], facevano usura… Ho avuto modo di sapere quando io andavo alla bisca di Giuliano che gestivano la bisca». A riferirgli queste informazioni sarebbe stato Giuseppe Crispino nel 2019, cioè nel periodo in cui erano detenuti insieme al carcere di Cavadonna. Nel tentativo di confermare quanto dichiarato, Capodieci racconta: «Salvatore Giuliano fu contento una volta che lo mandai a salutare. Ad un ragazzo ci dissi: “Me lo saluti a Salvatore Giuliano?”», dopo qualche giorno questo ragazzo ricambiò i saluti. «Mi regalò una bottiglia di vino […], disse: “Salvatore Giuliano è stato contento che sei andato alla bisca a giocare”»

Al Pubblico Ministero, il dott. Alessandro Sorrentino, forse la narrazione di Francesco Capodieci non funziona e domanda nuovamente come abbia fatto a individuare i fratelli Aprile nelle foto segnaletiche se non li ha mai conosciuti personalmente: «I fratelli Aprile è ovvio che li ho visti nei giornali. Prima ancora, quando ero fuori, li vedevo sempre sui social figurare su Facebook, ogni cosa che facevano: sempre. Addirittura, una volta che sono stati scarcerati su riesame, […] hanno fatto una fotografia su Facebook. Li conoscevo, ripeto, nell’ambiente si sa chi sono i fratelli Aprile, si sa chi sono… Però, non ho avuto mai rapporti, non li ho visti mai, però so anche tramite Santo ...(incomprensibile)... che si approvvigionavano di cocaina da Massimo ‘il carrozziere’». 

Voci, insomma. Voci e social network. Ecco su cosa sino a questo momento sono sorrette le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Francesco Capodieci.

La bisca di Pachino attribuita da Capodieci a Salvatore Giuliano non era la sola che frequentava. Capodieci conobbe Giuseppe Crispino frequentando la bisca di Noto: «Giuseppe Crispino lo conosco un po' meglio dei fratelli Aprile: lui è stato responsabile del clan Trigila», ovvero il rivale storico del clan Giuliano, e ricorda l’inizio del loro sodalizio affaristico nel traffico di droga: «Parlando lui aveva un problema: aveva mezzo chilo di cocaina, sapendo noi la piazza forte che avevamo al “Bronx”, ci rissi: “A quanto me la vuoi dare questa cocaina?”. Dice: “Purtroppo devi dare i soldi a cinquanta euro (al grammo, n.d.r.)”. Io mi sono messo a ridere, anche perché comprare la cocaina a cinquanta euro non è il nostro ideale. Mi feci convinto, ci rissi “Va bene, ora me la scendo», accordandosi per un pagamento in tre rate per un importo totale di 25mila euro. L’operazione, invero, era stata studiata da Capodieci per stringere rapporti con i Trigila per stessa ammissione del collaboratore: «Oggi, domani avevo una porta aperta qua a Noto, avevo una porta aperta, che avevo fatto questo favore. Così fu». Incontrato nuovamente nel 2019, chiacchierando in carcere, Crispino gli confessò le sue preoccupazioni per eventuali procedimenti, oltre quello in corso, perché era il responsabile del clan Trigila. 

Francesco Capodieci è un testimone attendibile?

È durante il riesame dei legali della difesa che lo stesso Capodieci ammette: «Io sono come San Tommaso. Non posso dire che ci metto la mano sulla piaga che i fratelli Aprile svolgevano (attività illecite, n.d.r.), a me è stato riferito questo discorso. Possono essere veri, non possono essere veri… perché io i fratelli Aprile non li conosco», ribadendo ulteriormente che sapeva di loro tramite i social, sebbene non riesca a definire il numero esatto di questi fratelli e ad associare il loro nome di battesimo ai rispettivi volti. Giuseppe Crispino invece lo conosceva personalmente, e precisa: «A quell’epoca eravamo bombardati sia noi, sia i fratelli Aprile, sia Salvatore Giuliano, sia tutti… eravamo bombardati da Borrometi, nei giornali». Capodieci, su invito dell’avvocato Campisi approfondisce: «Ci faceva l’inchiesta, la spia a tutti (Borrometi, n.d.r.). Noi eravamo sempre su ‘Laspia’, sull’inchiesta. I fratelli Aprile li ho visti anche, a Salvatore Giuliano l’ho visto anche, mi sembra anche Giuseppe Crispino, perché chiunque mettevano là, ma io Giuseppe Crispino ripeto, non lo conosco tramite i social…».

Un ‘bombardamento’ mediatico che potrebbe avere portato i suoi strascichi anche all’interno del carcere di Cavadonna dove Francesco Capodieci era detenuto dal 2018. Capodieci veniva infatti trovato in possesso di smartphone all’interno dell’istituto penitenziario, usato per vendere droga ai detenuti secondo la tesi degli inquirenti e, verosimilmente, poteva accedere a internet con facilità.

Oltre a Crispino, Capodieci conferma di conoscere personalmente anche Salvatore Giuliano. Lo avrebbe incontrato per la prima volta nel carcere di Brucoli nel 1995, quando Capodieci venne arrestato per una rapina a un ristorante. Era detenuto nell’ottava sezione, cella 14. «Poi quando sono uscito e sono rientrato - precisa Capodieci all’avvocato Gurrieri - non c’era più Giuliano: o era partito o era uscito, ma sicuramente era partito, ricordo. Mi disse Massimo Vizzini che era nella cella di fronte a me», ricordando presunti problemi di tossicodipendenza di Giuliano nel 1993 dai quali ne sarebbe uscito nel 1994 in carcere, per poi ritrattare sul periodo e collocando questo particolare di tossicodipendenza tra il 1996 e il 1997 riferitogli da Alessio Attanasio.

Un altro incontro con Giuliano, Crispino lo colloca nel 2019 nell’aula delle videoconferenze. «(Giuliano, n.d.r.) è stato detenuto tre, quattro giorni a Cavadonna. Abbiamo fatto l’aria... noi eravamo di fronte, l’area nostra, l’area del primo piano era di... cioè ...(incomprensibile)... con quella del terzo piano, lui passeggiava con Di Falco Riccardo due, tre giorni che è stato là. […] Ci siamo parlati nella saletta della video conferenza, dove ti mettono nella saletta della video conferenza».

Salvatore Giuliano smentisce: «Questo signore io neanche lo conosco!», e spiega: «Nel 1995 io ero detenuto a Brucoli, nella sezione sette, settima sezione, che era la giudiziaria all’epoca. Poi sono stato passato alla quinta sezione, nell’altro blocco, definitivo. Per cui io non ero partito… lui dice che io ero partito, ma non ero partito», ribadendo il fatto che le informazioni di Capodieci gli erano rese da soggetti terzi. «Ma come può dire che io dal ’96 ero tossicodipendente, quando a me mi hanno arrestato nel ’93 e sono uscito nel 2013? Lui dice che sono stato scarcerato nel 1998, poi riarrestato… cioè lui non sa neanche quello che ha detto. Attanasio neanche lo conosco. Mai siamo stati detenuti assieme. Mai abbiamo avuto una comunicazione assieme, mai niente! Si inventa sta cosa di tossicodipendenza, che mi viene da ridere! Questo si inventa ‘ste cose, io non lo so come definire una persona del genere».

Giuliano nega qualsiasi attività di usura e di gioco d’azzardo: «Parla di bisca clandestina: mai mi sono occupato di gioco d’azzardo. Parla di usura, idem, mai mi sono occupato di ‘ste cose. Tira nel mezzo sempre a me dicendo “I fratelli Aprile che gestivano questa bisca”, cosa assolutamente falsa. Ma come si fa a dire una cosa del genere?», e prova a darsi una spiegazione ragionevole, plausibile: «Qua si sta facendo un processo (ma no solo questo: anche gli altri che c’ho) grazie al signor Borrometi che ha fatto questa pubblicità. Ci sono questi collaboratori o pseudo collaboratori, non so come definirli: leggono ‘sti social, leggono sti giornali, memorizzano e poi vengono qua a testimoniare», rilevando che Francesco Capodieci è insolitamente accompagnato dal suo legale. 

«Questo dice che ci vedevamo all’aria, ma all’aria lui non c’era con me», precisando che  gli agenti penitenziari, sempre presenti anche durante le videoconferenze, potevano favorire colloqui solamente tra detenuti dello stesso piano. «Possibilmente io ero dentro l’aula ed ha sentito “C’è Giuliano!”, ma sempre lui mi ha conosciuto... cioè sapeva il mio nome per via social, grazie al signor Borrometi, allora ha sentito che io avevo lì dentro per dire per la video conferenza. Ma no che io ho mai parlato con lui, anche... poi l’ha detto chiaro, non è che abbiamo parlato di... come posso dire, di fare reato o cose, ma posso dire una cosa che non è? Voglio dire... però lui si inventa ste cose qua, perché a Giuliano o u canusci che c’ha parlato oppure lo conosce per sentito dire. Siamo sempre là!».

Giuseppe Crispino nega di essersi mai interessato di bische clandestine, né di avere venduto droga destinata allo spaccio a Francesco Capodieci, e incalza: «Sono stato preso di mira, ma più di una volta, è cominciato mi sembra nel 2014 - 2015, dal sito “La Spia” del signor Borrometi. Da quel sito diciamo siamo ... (incomprensibile)... un po' tutte queste persone che siamo presenti in questo procedimento. Quindi l’unico commento che è stato fatto con il signor Capodieci per quel mese e mezzo che ci siamo incontrati in carcere è stato solo quello, della causa del nostro transito in questo sito, che è al vaglio di tutti ed in pasto a tutti. Quindi oggi è facile dire Crispino e tizio, Giuliano e caio, i fratelli Aprile sono Sempronio. Mi sembra una cosa abbastanza... alla portata di tutti». 

È dunque plausibile ipotizzare che degli articoli possano avere influenzato indirettamente e alterato rispetto la realtà sostanziale dei fatti la narrazione del collaboratore di giustizia Francesco Capodieci?