E’ prevista per oggi, davanti al giudice monocratico di Trapani Massimo Corleo (e non più davanti al collega Franco Messina), la prima udienza del processo che per falso materiale commesso da pubblico ufficiale vede imputato l’assistente capo di polizia Angelo Patriarca, 60 anni, in servizio al Commissariato di Marsala fino al 15 marzo 2018, quando fu arrestato da suoi colleghi (quel giorno era a Roma e fu rinchiuso a “Regina Coeli”) nell’ambito di un’indagine su un giro di passaporti e di permessi di soggiorno in bianco sottratti alla questura di Trapani e rivenduti sul mercato clandestino.
Inizialmente, le accuse contestate ai tre indagati (oltre al poliziotto, il marocchino Rachid Dalal, di 35 anni, e la moglie Vita Annalisa Daunisi, anche loro residenti a Marsala e anche loro rinviati a giudizio) furono associazione per delinquere finalizzata al peculato, furto, ricettazione e corruzione.
Poi, la difesa del poliziotto riuscì, con ricorso al Tribunale del Riesame di Palermo, a far derubricare l’accusa nella meno grave truffa pluriaggravata e continuata in concorso ai danni dello Stato (pena massima: 5 anni). Derubricazione confermata dalla Cassazione. Poi, la Procura di Trapani ha contestato il primo comma dell’articolo 476 del codice penale, che prevede, in caso di condanna, da uno a sei anni di carcere (il secondo comma prevede da 3 a 10 anni). Dal giorno del suo arresto, il poliziotto (poi tornato in libertà) è sospeso dal servizio e a metà stipendio. “Non ci sono dubbi – hanno scritto i giudici del Riesame nell’aprile 2018 – sulla commissione, da parte del prevenuto (Patriarca, ndr), delle condotte materiali allo stesso ascritte (il poliziotto, presentandosi in Questura “sotto falso nome” ed esibendo una istanza del Commissariato di Mazara “contraffatta”, si fece consegnare 400 moduli di passaporto in bianco, ndr), al di la dei solidissimi dati esposti nell’ordinanza applicativa della misura in esecuzione (carcere, ndr), … va altresì evidenziata la sostanziale ammissione dei fatti compiuta dal Patriarca al momento dell’esecuzione della misura (arresto, ndr), allorché ha reso dichiarazioni spontanee alla polizia giudiziaria riferendo di avere effettivamente ricevuto denaro in cambio degli atti contrari ai doveri d’ufficio”.