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27/09/2021 04:40:00

Uccidendo Rostagno la mafia fermò a Trapani la rivoluzione dei matti 

 Sono le otto di sera. Sono in auto con Alba. Il tergicristallo della Uno blu, striscia sul vetro del parabrezza. Piove. Lentamente piove. Di quelle gocce che trapuntano la vista e uno aspetta un poco prima di abbassare la leva accanto alle frecce. Lei ha la testa sotto il mio braccio, accucciata nella nicchia dell'ascella. Ieri abbiamo prenotato la chiesa per il matrimonio. Ormai ci siamo quasi, è questione di pochi mesi. Con la mano destra muove il cambio. Io guido con la sinistra. Non è la prima volta che lo facciamo. La cassetta nel mangianastri è quella di Gino Paoli, me l'ha regalata qualche giorno fa per il mio compleanno.

La via Fardella è piena di gente, la pioggia spariglia le luci sull'asfalto. Ora c'è un'auto dietro la mia. Lampeggia, mi fa segno di accostarmi. Apro il finestrino. È un consigliere comunale, lo conosco. Mi chiede se so quello che è successo. Gli faccio segno di no, con il mento, con gli occhi, con la testa. Un esorcismo per allontanare un brutto presagio. Ogni volta che sento che sta accadendo qualcosa di brutto, mi mancano le parole. E anche adesso è così. Poi, una fucilata. Dentro le mie orecchie. Una saetta illumina a giorno il momento, quello. "Hanno ammazzato Mauro Rostagno". Mi metto a ridere. Ma non è una vera risata, è un ghigno, una smorfia, perché non ci credo. Non voglio crederci. Lui mi dice che sta andando a Saman. Io lo seguo. E invece arrivo alla cabina davanti al bar Holiday, e scendo.

Cerco una moneta, ce l'ha Alba nel portafogli. Chiamo Rtc, la televisione. Mi risponde Michele. Balbetto "... sono Giacomo". Dall'altra parte, una schioppettata, la seconda: "Hanno ammazzato Mauro, gli hanno sparato a pochi metri da Lenzi". Piange e io pure. E restiamo così fino a quando la linea cade. Sbatto la cornetta sulla cabina. Urlo come un pazzo. Alba scende dall'auto. Perdo il controllo. Pugni e calci sulle pareti di vetro. Mi faccio male a un dito, sanguina un poco. Voglio andare in comunità. Alba è alla guida, fa inversione. Mi porta a casa a medicarmi. Non riesco a fermarmi. Su e giù nel corridoio.

Continuo a ripetere me lo hanno ammazzato, bastardi mafiosi me lo hanno ammazzato. Come un rosario infinito. Mia madre mi porge un bicchiere d'acqua, con una mezza compressa delle sue, quelle che le servono per dormire. È la prima volta che prendo un calmante. Sono in televisione. Non so nemmeno come ci sono arrivato. Anche perché Alba è andata a casa. E mi manca questo pezzo ora. Ci sono tutti. Ninni ed Enzo sono atterriti, gli occhi spalancati, i visi contratti. Tonino ha dovuto riconoscere il corpo di Mauro all'obitorio. Quando lo vedo gli chiedo se è sicuro che è morto. Si asciuga una lacrima col fazzoletto, non mi risponde. Arriva padre Adragna e ci abbraccia tutti.

Poi arriva uno dei suoi matti. Uno che scrive poesie bellissime e un giorno con la Cinquecento è andato in Olanda perché voleva incontrare la regina e lui questa notizia l'ha messa in apertura del telegiornale. "Anche perché qui i matti sono gli unici che possono fare la rivoluzione". Me lo ha detto un pomeriggio mentre sorseggiava una tisana, e io l'ho trovato un pensiero bellissimo. Lo vedo. Non riesce a parlare. Si siede e non si muove più. Non si muoverà più per le prossime dieci ore. Mentre tutto attorno è un macello di voci, urla, pianti, polizia, sirene. Lui, immobile come una statua. Un cero acceso. A illuminare la notte della città. Ha gli occhi bassi, le mani giunte, le gambe incrociate. Il suo lutto è profondo, vero, entra nelle ossa, nei vicoli, nelle case.

Qualcuno dice che bisogna smetterla con la tivù. Lo sento gridare, i suoi figli non sopporterebbero di condividere questo terrore. Gli altri, tutti noi, invece vogliamo continuare. Non sappiamo come, ma ce lo diciamo nel corridoio. Anzi ci mettiamo subito a lavorare per l'edizione straordinaria del Tg. Ninni va in diretta con Enzo. Precipitano in redazione, non so nemmeno come, le voci di fuori. Un infame coro greco riferisce calunnie, una questione di donne, la borsa piena di dollari. Il solito mascariamento, ma questa volta col corpo ancora caldo.

Il fax dell'Ordine dei giornalisti lo prendo io. C'è scritto che, contrariamente a quanto riferito nel notiziario, Mauro non era un giornalista. Lo rileggo ancora una volta. Non può essere vero. Mi sento soffocare. Esco per strada. Con l'auto raggiungo il porticciolo di Nubia, un centinaio di metri dalla televisione, con le barche capovolte sulla spiaggia. Piango. Nascosto da tutti. Per rabbia, per vergogna, perché hanno vinto loro. Perché non so nemmeno loro chi sono. Perché i matti, senza di lui, la rivoluzione qua non la faranno mai.

Giacomo Pilati

Articolo apparso su Repubblica del 26 Settembre 2021