C’è la vita che si spezza a Ravanusa, che cade insieme ai palazzi e ne resta seppellita. Lì tra quei cadaveri c’è un bambino che avrebbe dovuto nascere sotto Natale, figlio di Selene e Giuseppe, e, invece, è andato via prima ancora di conoscere l’azzurro del cielo.
Le indagini, il tempo, chiariranno aspetti e responsabilità, appureranno colpe, se ce ne saranno, ma quelle immagini rimarranno per molto tempo ancora, anche se i social hanno abituato tutti a una comunicazione troppo veloce quanto inefficace e spesso schizofrenica.
Non c’è il tempo per metabolizzare un post di vicinanza e cordoglio che immediatamente si passa alle arancine di Santa Lucia, perché siamo diventati questi: mangiamo e sputiamo. Parliamo di tutto ma comprendiamo poco, sappiamo meno di quello che davvero diciamo di sapere. C’è un cinismo che dovrebbe far paura, quello che è accaduto a Ravanusa potrebbe accadere ovunque, tra quelle macerie ci potevano essere sorelle, fratelli, figli, nipoti, nonni di chiunque. Cosa non ha tenuto nelle condutture del gas lo diranno gli esperti, anche se quella è indicata come zona franosa con bollino rosso.
E solo in queste drammatiche circostanze ci si ricorda di come il corpo dei Vigili del Fuoco sia essenziale nei ritrovamenti, insieme ai cani molecolari, cosi come la Protezione Civile altrettanto fondamentale. Hanno scavato a mani nude, hanno sperato che qualche alito di vita si sentisse, invece più passavano le ore e più la speranza si faceva fioca.
La settima vittima rinvenuta è il professore di storia Pietro Carmina, un amore per l’insegnamento e per i suoi giovani che lo hanno portato a non lasciare mai il cuore lontano dal suo mondo, pur essendo in pensione da qualche anno.
La sua vita ha lasciato un segno in quella dei tanti alunni incontrati nei 43 anni di servizio, occhi, discorsi, confronti, rimproveri ma sempre con un approccio non rigido. La lettera del suo pensionamento, il saluto ai ragazzi, rappresenta una lectio magistralis per quanti pensano che l’arte della vita sia sempre improvvisazione e che il sipario cali a comando.
“Ai miei ragazzi, di ieri e di oggi. Ho appena chiuso il registro di classe. Per l’ultima volta. In attesa che la campanella liberatoria li faccia sciamare verso le vacanze, mi ritrovo a guardare i ragazzi che ho davanti. E, come in un fantasioso caleidoscopio, dietro i loro volti ne scorgo altri, tantissimi, centinaia, tutti quelli che ho incrociato in questi ultimi miei 43 anni.
Di parecchi rammento tutto, anche i sorrisi, le battute, i gesti di disappunto, il modo di giustificarsi, di confidarsi, di comunicare gioie e dolori, di altri, molti in verità, solo il viso o il nome. Con alcuni persistono, vivi, rapporti amichevoli, ma il trascorrere del tempo e la lontananza hanno affievolito o interrotto, ahimè, quelli con tantissimi altri. Sono arrivato al capolinea ed il magone più lancinante sta non tanto nell’essere iscritto di diritto al club degli anziani, quanto nel separarmi da questi ragazzi. A tutti credo aver dato tutto quello che ho potuto, ma credo anche di avere ricevuto di più, molto di più. Vorrei salutarvi tutti, quelli che incontro per strada, quelli che mi siete amici sui social, e, tramite voi, anche tutti gli altri, tutti, ed abbracciarvi ovunque voi siate".
"Vorrei che sapeste che una delle mie felicità consiste nel sentirmi ricordato; una delle mie gioie è sapervi affermati nella vita; una delle mie soddisfazioni la coscienza e la consapevolezza di avere tentato di insegnarvi che la vita non è un gratta e vinci: la vita si abbranca, si azzanna, si conquista. Ho imparato qualcosa da ciascuno di voi, e da tutti la gioia di vivere, la vitalità, il dinamismo, l’entusiasmo, la voglia di lottare. Gli anni del liceo, per quanto belli, non sempre sono felici né facili, specialmente quando avete dovuto fare i conti con un prof. che certe mattine raggiungeva livelli eccelsi di scontrosità e di asprezza, insomma …. rompeva alla grande. Ma lo faceva di proposito, nel tentativo di spianarvi la strada, evidenziandone ostacoli e difficoltà. Vi chiedo scusa se qualche volta non ho prestato il giusto ascolto, se non sono riuscito a stabilire la giusta empatia, se ho giudicato solo le apparenze, se ho deluso le aspettative, se ho dato più valore ai risultati e trascurato il percorso ed i progressi, se, in una parola, non sono stato all’altezza delle vostre aspettative e non sono riuscito a farvi percepire che per me siete stati e siete importanti, perché avete costituito la mia seconda famiglia. Un’ultima raccomandazione, mentre il mio pullman si sta fermando: usate le parole che vi ho insegnato per difendervi e per difendere chi quelle parole non le ha; non siate spettatori ma protagonisti della storia che vivete oggi: infilatevi dentro, sporcatevi le mani, mordetela la vita, non “adattatevi”, impegnatevi, non rinunciate mai a perseguire le vostre mete, anche le più ambiziose, caricatevi sulle spalle chi non ce la fa: voi non siete il futuro, siete il presente".
"Vi prego: non siate mai indifferenti, non abbiate paura di rischiare per non sbagliare, non state tutto il santo giorno incollati a cazzeggiare con l’iphone. Leggete, invece, viaggiate, siate curiosi (rammentate il coniglio del mondo di sofia?). Io ho fatto, o meglio, ho cercato di fare la mia parte, ora tocca a voi. Le nostre strade si dividono, ma ricordate che avete fatto parte del mio vissuto, della mia storia e, quindi, della mia vita. Per questo, anche ora che siete grandi, per un consiglio, per una delusione, o semplicemente per una risata, un ricordo o un saluto, io ci sono e ci sarò. Sapete dove trovarmi. Ecco. Il pullman è arrivato. Io mi fermo qui. A voi, buon viaggio“.