Rigettando il ricorso della difesa, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna a 5 anni, 2 mesi e 15 giorni di carcere inflitta ad un imprenditore edile marsalese di 52 anni processato per maltrattamenti in famiglia, minacce all’ex compagna e violenza sessuale, sia in danno della donna che delle figlie minorenni che questa aveva avuto con un altro uomo. Il 26 luglio 2018, il Tribunale di Marsala gli aveva inflitto sette anni e una serie di pene accessorie, condannandolo anche al risarcimento danni in favore delle parti civili.
L’ammontare del risarcimento danni sarà quantificato in sede civile. Quattro anni fa, comunque, venne stabilita una “provvisionale” di 10 mila euro per ciascuna parte civile (l’ex compagna e i tre figli, due femmine e un maschio). In appello, poi, la pena detentiva fu ridotta a poco più di cinque anni perché alcuni capi d’imputazione furono dichiarati estinti per prescrizione. Come, per altre accuse, era già avvenuto in primo grado. A rinviare a giudizio l’imprenditore era stato il giudice delle udienze preliminari Francesco Parrinello.
Secondo l’accusa, tra il 2006 e il 2013, l’imprenditore avrebbe pesantemente offeso e umiliato la convivente in presenza dei figli e di altre persone (tra gli epiteti, anche “puttana, zoccola, troia”), l’avrebbe picchiata e persino minacciata di morte (“se non stai zitta ti ammazzo e ti seppellisco nel fosso”). Talvolta, l’avrebbe schiaffeggiata con estrema violenza (le fece anche un occhio nero), l’avrebbe afferrata per il collo e stretto la presa e poi anche tirato contro i primi oggetti che a casa gli capitavano per le mani. E nell’ultimo periodo di convivenza, la donna sarebbe stata costretta, inoltre, a subire atti sessuali contro la sua volontà. Comportamenti, insomma, da vero bruto.
E quando i figli difendevano la madre, anche loro sarebbero stati picchiati e ingiuriati. Quando, poi, la madre non era a casa, in più occasioni, l’uomo avrebbe molestato e abusato sessualmente le figlie della compagna, che all’epoca dei fatti erano ancora minorenni. Alla fine della relazione “sentimentale”, nel 2013, l’uomo avrebbe anche iniziato a tormentare l'ex convivente con messaggi minacciosi e ingiuriosi. Stanca di subire, la donna ha trovato il coraggio di denunciare. E nel processo si è anche costituita parte civile. E con lei anche i tre figli. A rappresentarli, sin dall’inizio, sono stati gli avvocati Laura e Salvatore Errera, che già assistono, in altri procedimenti, vittime in casi di maltrattamenti in famiglia. “Dopo la fine della relazione – affermano gli avvocati Laura e Salvatore Errera - la signora ha avuto il coraggio di denunciare e sono venuti fuori altri comportamenti che denotano delle gravissime devianze.
La violenza, vista anche come potere e controllo su tutti i membri della famiglia, era strettamente connessa con la dipendenza economica delle vittime. Infatti, il soggetto era solito rinfacciare la sua superiorità economica e la dipendenza di tutti i conviventi”. A un certo punto, però, la donna ha trovato la forza per troncare la relazione. E per questo l’ex compagno avrebbe cominciato a minacciarla in altri modi. Nel processo, oltre alle vittime, sono state ascoltate anche la consulente della Procura, la psicologa Eugenia Parisi, e il perito super partes nominato dal Tribunale, la psicologa Maria Cristina Passanante, che hanno sentito le ragazze che secondo l’accusa sarebbero state vittime di abusi e violenze.