Qualche giorno fa, nella Libreria del Corso di Trapani, è stato presentato il libro di Giacomo Di Girolamo, “Matteo va alla guerra”.
Ha dialogato con l’autore il giornalista Gianfranco Criscenti che, oltre ai temi trattati nel libro, ha toccato anche la spinosa vicenda della trasmissione di Report sui trent’anni dalla strage di Capaci. Criscenti ha ricordato come Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino e avvocato di parte civile della famiglia Borsellino, subito dopo la puntata di Report, avesse scritto sulla sua pagina Facebook: “Se qualcuno pensa che subiremo un altro depistaggio senza reagire si sbaglia di grosso!”. Il riferimento è all’ipotesi che ci possa essere in atto una manovra per depistare ulteriormente le indagini su via D’Amelio.
“Il giornalismo d’inchiesta è fondamentale, ma bisogna essere prudenti nel caso ci si trovi di fronte a delle fonti inquinate – ha detto il giornalista dell’Ansa - perché il rischio è quello di andare ad intorbidire delle acque che già pulite non sono”.
“A proposito della strage di Capaci – ha aggiunto - i colleghi di Report sostengono che dietro ci sia la mano di Stefano Delle Chiaie, l’estremista di destra, fondatore di Avanguardia Nazionale. Ma all’indomani della messa in onda di questo servizio, la procura di Caltanissetta che conduce le indagini sulle stragi, ha smentito su tutti i fronti questa tesi”.
“A fare da supporto a Report è arrivato Roberto Scarpinato – ha continuato Criscenti - procuratore generale di Palermo fino allo scorso gennaio che, intervistato da Rai News qualche giorno fa, dice che in effetti c’è un documento in cui si fa riferimento al coinvolgimento di Delle Chiaie nella strage di Capaci. Un documento, dice Scarpinato, scomparso nel ’92 e ricomparso poco tempo fa.
Al posto della collega Raffaella Cosentino, io avrei chiesto: ‘Ma cosa intende dire che questo documento è scomparso? Qualcuno lo ha sottratto? E’ finito in un cassetto e non si è più trovato? E adesso come è ricomparso? Per virtù dello spirito santo?’”.
Il giornalista ha commentato anche l’intervista a Report dell’ex ispettore di polizia Antonio Federico di Alcamo.
“Federico racconta a Mondani che, essendosi appostato durante la notte sotto il viadotto dell’autostrada, nel tratto compreso tra Alcamo e Balestrate, vede calarsi con le corde da 10 a 15 persone. Ma per arrivare lì c’è una strada (che tra l’altro Federico ha percorso in macchina), mi chiedo allora perché questi uomini avrebbero dovuto calarsi giù con delle corde dal viadotto soprastante, portando tra l’altro tre/quattro mezzi in autostrada, fare i nodi ecc.
Il poliziotto dice anche che tra questi che si calavano giù, ha riconosciuto ‘faccia da mostro’, Giovanni Aiello, dalla cicatrice che aveva sul viso. Ora, chiederei a Federico (ma mi sarebbe piaciuto se l’avesse chiesto Mondani in quell’intervista), come ha fatto alle tre di notte e da una certa distanza a riconoscere Aiello da una cicatrice?
Mondani gli domanda invece se ne è sicuro. E Federico risponde di sì, perché, tra l’altro, ‘era il più basso di tutti’. Peccato però che Aiello era alto un metro e novanta!”
Giacomo di Girolamo ha affrontato invece diversi aspetti della partecipazione attiva di Matteo Messina Denaro alle stragi del ’92. In coda all’articolo, la registrazione video integrale della presentazione del libro a Trapani. Una storia, quella di “Matteo va alla guerra”, scritta in prima persona plurale, come se a parlare fossero i mafiosi della provincia di Trapani, con una perfetta sintesi tra il racconto giornalistico e quello letterario. Un libro che si legge d’un fiato.
Di seguito riportiamo però una riflessione di Di Girolamo, forse un po’ amara, ma assolutamente attuale, sul finire di questa presentazione a Trapani.
“Abbiamo assistito, nel tempo, alla garibaldinizzazione di Giovanni Falcone. Quando oggi parlo nelle scuole, penso a me quando mi parlavano della seconda guerra mondiale o di piazza Fontana. Pensavo “che noia!” ed è quello che spesso pensano i ragazzi. Cinicamente bisogna dire una cosa, che nella data della strage di Capaci, c’è una circostanza felice per il percorso scolastico: cade di maggio. Ed è l’ideale per i convegni che si fanno a fine anno scolastico, per le gite in Sicilia… Ma se l’avessero ucciso sotto Natale, o ad agosto, la storia non sarebbe entrata nel mondo della scuola con questa facilità. Quando oggi parlo ai ragazzi, penso che magari sono i figli di quei ragazzi con cui ho parlato vent’anni fa. E continuiamo a parlare di legalità ai giovani, dicendo che loro sono il futuro, ma già lo dicevamo ai loro padri. E allora forse bisognerebbe parlare con il loro padri adesso. Che poi, perché dovremmo parlare loro di legalità. La legalità è come respirare, e a me nessuno mi ha mai insegnato a respirare. Forse, più che di cultura della legalità, bisognerebbe parlare di cultura. E lì i miei dubbi aumentano. La mia preoccupazione è questa: muoiono i testimoni, muore chi c’era, muoiono i sopravvissuti, moriremo anche noi che ci ricordiamo dov’eravamo quel 23 maggio e quel 19 luglio. E poi? Cosa rimarrà di tutto questo? Come Garibaldi, rimarranno le statue, le marce… E mi chiedo se ne sarà valsa la pena”.
Egidio Morici