Non erano “furbetti” del reddito di cittadinanza. Il sussidio fortemente voluto dal M5S in questo caso spettava. E’ quanto hanno sentenziato due giudici del Tribunale di Marsala (Mariaserena Barcellona e Francesco Parrinello) in altrettanti processi a carico di due persone del Belicino, M.S. di 52 anni, e A.A.G di 59, entrambe difese dall’avvocato Giuseppe Accardo Giuseppe.
Nel primo caso, M.S. era accusato di avere falsamente dichiarato di vivere in maniera autonoma quando invece, secondo la tesi dell’accusa basata sugli accertamenti della Guardia di Finanza, avrebbe convissuto con i genitori. E per l’accusa sarebbe stata falsa l’attestazione Isee (con indicazione solo dell’imputato nel nucleo familiare) utile a far maturare il diritto al Reddito di Cittadinanza, effettivamente percepito dall’accusato.
Nel corso del processo, però, è emerso che M.S. viveva in un appartamento autonomo all’interno dello stabile dove vivevano i genitori, e come lo stesso fosse residente da oltre 10 anni in maniera autonoma. Tali elementi venivano riscontrati da varia documentazione e da testimonianze, mentre dall’esame degli accertatori della Guardia di Finanza emergeva, ha evidenziato la difesa, come le accuse fossero esclusivamente “deduttive e presuntive”.
Per questo è stata disposta assoluzione con formula piena perché “il fatto non sussiste”, a fronte di una richiesta di condanna di anni 1 e mesi 6 del pm.
Nell’esprimere soddisfazione, l’avvocato Accardo ha sottolineato “come l’assoluzione sia stata frutto delle dichiarazioni testimoniali e delle prove documentali offerte dalla difesa, a fronte di un quadro probatoria della Procura meramente presuntivo. Non è il primo caso relativamente al c.d. Reddito di Cittadinanza che mi vede impegnato a dimostrare l’innocenza del mio assistito allorquando dovrebbe essere invece la Pubblica Accusa a dimostrare la colpevolezza. Questo deve essere un elemento di riflessione per i tanti processi in materia allo stato pendenti”.
Nel caso, invece, di A.A.G., secondo l’accusa, questi veniva assunto in nero mentre percepiva il RdC. Nel corso del processo, però, emergeva come l’imputato avesse consegnato i documenti per l’assunzione al titolare dell’impresa edile dove lavorava e, dunque, come fosse convinto di essere assunto. Inoltre, emergeva come nei 30 giorni successivi si era recato tre volte presso il proprio Patronato per inviare la comunicazione di assunzione, cosa impossibile da poter fare a causa di un problema nel sistema Inps che ne frattempo bloccava la posizione dell’imputato stante la segnalazione di “lavoro non regolarizzato”. Anche in questo caso prove documentali e testimonianze hanno determinato l’assoluzione, disposta con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. Il difensore ha, poi, spiegato “come il processo sia sostanzialmente nato da un bug del sistema dell’Inps che non ha permesso all’imputato di aggiornare la propria posizione nonostante tre invii certificati eseguiti dal Patronato. Speriamo che una casistica simile sia limitata, comunque sarà mio onere comunicare le risultanze processuali alla sede provinciale dell’Ente”.
Questi due casi, evidenzia la difesa, dovrebbero servire da riflessione sulla “demagogia” e sugli animi che facilmente si “infiammano” nel valutare strumento del Reddito di Cittadinanza ed i suoi percettori. Due “furbetti” che hanno dovuto subire un processo penale per dimostrare la loro innocenza.