È bufera dopo la diretta Facebook di Cateno De Luca, che con toni a dir poco accesi ha smentito la notizia della bocciatura da parte del Tribunale di Palermo di alcune delle liste presentate per la corsa alle regionali in Sicilia.
Nel video, nel quale il candidato alla presidenza della Regione ha chiarito lo stato reale delle cose, non mancano infatti accuse alla stampa e, in particolare, al Giornale di Sicilia, che aveva divulgato la notizia.
Un intervento che non è passato inosservato. “L’Ordine dei giornalisti Sicilia – si legge in una nota – ritiene inaccettabili le espressioni rivolte dal candidato alla presidenza della Regione Cateno De Luca all’indirizzo del collega del Giornale di Sicilia Giacinto Pipitone. Nel video postato da De Luca su Facebook, oltretutto nel contesto di una campagna elettorale, si parla addirittura di «mafie dell’informazione». Si tratta di una violenza verbale senza precedenti, che non è ammissibile. A Giacinto Pipitone e ai colleghi del Giornale di Sicilia la piena solidarietà dell’Ordine”.
D’avviso analogo una nota della segreteria regionale di Assostampa. “Il video di Cateno De Luca in cui vengono attaccati il collega Giacinto Pipitone e il Giornale di Sicilia è offensivo nei contenuti e nei toni oltre stupefacente e sconcertante per la violenza verbale con cui si esprime il proprio dissenso verso un articolo pubblicato oggi su gds.it – si legge -. Al collega Pipitone, attento e scrupoloso cronista di politica, e ai colleghi del Giornale di Sicilia, va tutta la solidarietà di Assostampa Sicilia, il sindacato unitario dei giornalisti”.
Noi di Tp24, facciamo nostre le parole del giornalista Gery Palazzotto: "C’è un video in cui un tale, in evidente stato di alterazione alcolica, rovescia addosso al cronista del Giornale di Sicilia Giacinto Pipitone una serie di oscenità che Sgarbi al confronto è un frate minore conventuale. Questo tale arringa le sue truppe del web contro i poteri forti mafiosi di un giornale che è talmente forte da essere sommerso dalla cassa integrazione, i cui lavoratori per sbarcare il lunario hanno accettato da tempo tagli di ogni genere e si devono sentire addirittura additati dal tale col bicchierino in mano come pericolosi criminali armati di una penna che “si devono ficcare in culo”.
Il tale è candidato alla presidenza della regione e ringhia di essere bersaglio di una campagna di disinformazione da parte del giornale e del cronista in questione. Al centro della questione alcune liste sulle quali effettivamente il tribunale ha chiesto approfondimenti.
Ma il punto non è questo.
Il punto è che migliaia di persone abbaiano appresso al primo abbaiante, ringhiano assieme a lui e addirittura invocano in coro vendetta.
È qualcosa di mai visto prima, in un eterno, atroce, alzare l’asticella della provocazione. Questo tale si chiama Cateno De Luca e la sua chiamata alle armi è degna di attenzione da parte delle forze dell’ordine. Perché le cose vanno dette chiaramente.
Un candidato sbraitante, minaccioso, manifestatamente fuori controllo è davvero quello che volete alla guida della Regione? Il suo buon governo, un misto di politica neo melodica e munnizza verbale, non vi ispira neanche un minimo di diffidenza? E soprattutto uno che parla di mafia e usa minacce in pieno stile mafioso è uno al quale affidereste le chiavi del palazzo del potere?
Non sono certo di voler sentire le risposte, lo confesso. Anche se ho ancora un residuo di fiducia nella buona creanza e, ancor di più in questo caso, nella magistratura.
CALENDA. Carlo Calenda sceglie la cornice dei giardini del teatro Massimo, a Palermo, per lanciare la campagna elettorale di Gaetano Armao, candidato del terzo polo alla Regione Siciliana.
Troppo importanti, per il leader di Azione, le emergenze da affrontare nell’ultimo mese del governo Draghi per concentrarsi interamente sulla campagna elettorale: così partono da un lato l’invito a collaborare tutti per evitare “la tempesta perfetta rappresentata da un prezzo dell’energia fuori controllo e da un attacco al debito senza precedenti”, dall’altro le accuse a quelle figure (Conte, Salvini e Berlusconi) ritenute responsabili della caduta di Draghi e del voto anticipato. Calenda attacca anche le presunte ambiguità del centrosinistra: “Letta prima dice no ai cinque stelle e poi va con Bonelli e Fratoianni, prima dice sì all’agenda Draghi e poi si allea con chi lo ha sfiduciato”.
Il leader di Azione, accompagnato da Armao, Teresa Bellanova e Davide Faraone, evidenzia poi come “oggi si voti principalmente per moda: ieri Di Maio, poi Salvini, oggi Meloni. Ma se non hai esperienza appena inizi a governare fallisci quasi subito. Siamo stanchi di una politica che per trent’anni è stata fatta solo di opposizione ideologica”. E sempre riguardo alla mancanza di esperienza Calenda si sofferma sul linguaggio politico di Cateno De Luca: “Se i siciliani vogliono votare lui perché urla più forte in televisione sono fatti loro, ma chi vota di solito sceglie di affidarsi a persone che siano brave non a fare un video, bensì a gestire e amministrare. Armao possiede entrambe queste caratteristiche”.
E proprio l’ex assessore all’Economia del governo Musumeci si sofferma sui colpi di scena delle ultime settimane: “Lo spettacolo cui abbiamo assistito è stato indecoroso: si è parlato solo di nomi e di cariche da spartire, mai di programmi da mettere in campo -, sottolinea, – Il nostro compito è caricarci sulle spalle la responsabilità di questo cambiamento: fare innovazione è possibile anche in un contesto di difficoltà e arretratezza”.
Per Bellanova due sono le priorità da trattare in campagna elettorale: sanità e riforme. “Basta con promesse impossibili da mantenere, servono più soldi da investire nella sanità pubblica e investimenti che facciano ripartire le imprese, soprattutto qui al Mezzogiorno -, spiega la viceministro delle Infrastrutture, – Fare riforme significa parlare di lavoro e non di assistenzialismo. Per un maggiore sviluppo servono gli investimenti e non provvedimenti inutili come il reddito di cittadinanza”.
Su quest’ultimo si sofferma anche Faraone, per il quale “qui al sud non è facile toglierlo come lo sarebbe al nord, bisogna piuttosto rimodularlo”. Poi l’attacco al suo vecchio partito: “Il Pd ha detto no a tutte le nostre proposte pur di rimanere insieme ai 5 Stelle e alla fine si sono separati. Draghi era un fuoriclasse che compensava i limiti del nostro paese ed è stato letteralmente umiliato dal Movimento”.