Processato per una foto su whatsapp di Stanlio. Quella dell'ex comandante dei carabinieri di Capaci, il luogotenente Paolo Conigliaro, è una di quelle storie italiane che hanno dell'incredibile. Accusato di diffamazione, ha subito perquisizioni, umiliazioni ed è finito sotto processo, davanti ad un tribunale militare, e ha dovuto abbandonare le indagini sui notabili di Capaci.
E' stato, infine, assolto, con i giudici che hanno sentenziato, quella che per il militare è anche una beffa: "il dibattimento non si sarebbe dovuto aprire".
La denuncia per diffamazione - La vicenda di Conigliaro ha inizio con la denuncia presentata da Salvatore Luna e Andrea Misuraca, ex Consiglieri comunali di Capaci ed ex militari dell'Arma. Il reato contestato a Conigliaro è quello di diffamazione continuata pluriaggravata, poiché comunicando con più persone tramite l’App Whatsapp, e utilizzando la chat cui facevano parte altri militari della Stazione dei Carabinieri di Capaci di cui era al comando, avrebbe offeso la reputazione di Luna e Misuraca, apostrofandoli con epiteti ed insulti riferiti all’attività lavorativa svolta dagli stessi nonché in qualità di Consiglieri Comunali di Capaci.
La perquisizione e la ricerca della scheda telefonica - Una mattina, nella Caserma Carini a Palermo, Conigliaro viene letteralmente messo a nudo, gli cercano una scheda telefonica che non troveranno mai. Un’altra scheda telefonica, la seconda, perché la prima l’hanno già presa e lì dentro c’è la “prova” che secondo l'accusa lo inchiodava. Il corpo del reato: una foto del celebre attore comico Stan Laurel, con accanto il nome di un alto ufficiale che sembra proprio il sosia di Stanlio.
Le indagini di Conigliaro - Ventotto nell’Arma, non sono bastasti a Conigliaro per far capire che si stavano sbagliando. Per una banale conversazione con i colleghi, e il militare viene delegittimato, colpevolizzato e per lui c'è un trattamento alla stregua di un boss malavitoso. Di quale macchia ha sporcato la sua bella divisa da carabiniere? Paolo Conigliaro, comandante dei carabinieri di Capaci fino al suo allontanato stava indagando dove altri non mettevano occhi, disturbava califfati locali legati a potenti della Sicilia, e aveva anche inviato una relazione per lo scioglimento per mafia del consiglio comunale di Capaci. Troppo. La foto di Stanlio girata su WhatsApp fu solo l'inizio di un calvario umano e giudiziario.
Quattro anni di vicenda giudiziaria - La vicenda del carabiniere Conigliaro inizia il 21 maggio del 2018 e finisce lo scorso 12 ottobre del 2022 con la sentenza di assoluzione; a Capaci tutto è poco chiaro, si studia una variante urbanistica che trasforma un terreno in un’appetibile zona commerciale, ci sono carabinieri in aspettativa che fanno i consiglieri comunali, e Paolo Conigliaro fa solo il comandante della sua stazione. Sulla chat interna della caserma di Capaci spunta la foto di Stan Laurel e al suo fianco il nome del generale Renato Galletta, capo dell'Arma nella Sicilia occidentale. Il generale non se n’è mai lamentato. Ma qualcuno presenta querele e fa avere un cd e foto. Scatta, dunque la denuncia, e a giugno 2018 Conigliaro è indagato ufficialmente. Scatta il blitz in grande stile. Il blitz per una foto di Stanlio. L'indagine e le accuse di Conigliaro si basano su una foto dell'attore Stan Laurel.
La giustizia ordinaria chiude l'inchiesta, quella militare no - il 7 agosto 2018 il pubblico ministero Ticino chiede l’archiviazione del procedimento, il 30 settembre il gip la concede. Mentre la giustizia ordinaria chiude l'inchiesta quella militare va avanti e Conigliaro è costretto a lasciare Capaci.
Conigliaro lascia le indagini sul centro commerciale - Il luogotenente Conigliaro lascia, dunque, Capaci, ed è costretto a lasciare le indagini sull'affare del centro commerciale, la cui pratica, è curata dallo studio Pinelli-Schifani (neo Presidente della Regione e sotto processo per associazione a delinquere nella vicenda di Antonello Montante).
Prima la condanna ed ora, finalmente, l'assoluzione - Il 15 gennaio del 2021 c'è la condanna a cinque mesi e cinque giorni. Dopo un anno e mezzo la Corte di appello di Roma ha assolto Conigliaro perché dice, l’aggravante della diffamazione è stata “inventata”. Il processo non doveva nemmeno iniziare.