Davvero esiste un progetto per attuare l' “autonomia differenziata”? Se ne parla tanto in questi giorni. Cerchiamo di capire che cos'è e quali sono i rischi per la Sicilia.
Ma che cos’è esattamente?
Partiamo dalla nostra carta costituzionale, che disciplina la potestà legislativa delle regioni a statuto speciale (il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino Alto Adige/Südtirol e la Valle d'Aosta) e di quelle a statuto ordinario. In seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione intervenuta nel 2001, la legge dello Stato può attribuire alle regioni a statuto ordinario la potestà legislativa per le materie di legislazione concorrente e/o per tre di quelle di competenza esclusiva dello Stato.
E quindi?
Proviamo a dirla al contrario: un giorno una qualsivoglia regione a statuto ordinario potrebbe svegliarsi e voler acquisire, in aggiunta a quella che già vanta, la potestà legislativa in alcune determinate materie, sottraendola allo Stato. Va da sé che questo comporta anche il trasferimento delle relative risorse finanziarie dallo Stato alla regione.
Quali sono queste materie?
Qui dobbiamo richiamare l’articolo 117.3 Cost. L’elenco è lungo, eccolo: “rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.” A queste materie le regioni possono chiedere di aggiungere tre materie attualmente di competenza esclusiva dello Stato: giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace; norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Sinora si sono mosse alcune regioni?
Sì, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Ad esempio, la proposta veneta consta di ben 58 articoli … diciamo che l’elenco delle materie è lungo.
E il nuovo Governo che dice in proposito?
“Attuazione virtuosa di federalismo fiscale e autonomie, con completa definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e corretto funzionamento del fondo di perequazione, per assicurare coesione e unità nazionale.” … Una dichiarazione ossimorica … da un lato il federalismo spinto dall’altro la coesione e unità nazionale!
Sarà contenta la Lega.
E si, per la Lega “(…) L’autonomia è una dimensione spirituale, un’autentica vocazione. È una questione di cultura politica, dunque. Che comporta una dose di sano orgoglio e di fierezza regionalista nel “far da sé”, responsabilmente accettando la sfida della responsabilità e dell’efficienza. Chiedere più autonomia significa infatti accogliere il confronto e la competizione, che dovrebbe essere l’essenza del regionalismo a geometria variabile. (…)”. E ancora: … "accogliere il confronto e la competizione". sembra quasi una gara tra le regioni!
Una gara! C’è da preoccuparsi?
Sì, e non poco. Basta rileggere le materie elencate all’art. 117 Cost. Ad esempio, la tutela della salute. È giusto che ogni regione decida in via esclusiva per sé? Viviamo già in un Paese a più velocità, dove occorre semmai uniformare, non disgregare ulteriormente.
Ma lo dice la Costituzione!
Vero, purtroppo. Vero è anche che esistono i “LEP”, i livelli essenziali di prestazione: servizi che lo Stato deve garantire in maniera uniforme da Pachino a Vipiteno (art. 117.2 Cost. lettera m). Si tratta di un principio fondamentale della Repubblica: i cittadini italiani devono godere tutti, ovunque essi vivano, di un livello garantito di diritti di cittadinanza. Allo Stato spetta l’onere di determinare e quantificare con precisione i LEP, e di rendere disponibili le risorse necessarie a chi deve erogarli (enti locali), anche attraverso la costituzione di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Il principio è chiaro: al decentramento delle funzioni non devono corrispondere discriminazioni fra i cittadini. E se esse nella realtà ci sono, come avviene per chi abita nel Mezzogiorno e in certa misura nelle regioni del Centro, vanno progressivamente eliminate.
Quindi abbiamo i LEP che ci tutelano?
Teoricamente sì ma di fatto NO, è da 21 anni che li aspettiamo, e il nuovo ministro degli Affari Regionali, il leghista Roberto Calderoli, propone di fissarli entro un anno. E se non ci si riesce, si procede lo stesso.
Cioè?
Calderoli ha presentato una bozza di disegno di legge per dare a suo modo attuazione all’autonomia differenziata. In primo luogo, disegna un ruolo simbolico del Parlamento: concentra, infatti, tutto l’effettivo potere di quantificare e disporre di competenze e risorse nelle mani di una Commissione Paritetica di esperti, nominati dallo stesso Ministro e dai Presidenti delle regioni. Quanto ai LEP, la bozza prevede che questi siano definiti entro 12 mesi dall’approvazione dello stesso disegno di legge, e che nel frattempo i trasferimenti di risorse finanziarie dallo Stato alla regione secessionista siano calcolati secondo la 'spesa storica' sostenuta dallo Stato per quella competenza.
E quindi?
È proprio il finanziamento delle funzioni in base alla spesa storica a essere fonte di disuguaglianze, oltre che di inefficienze, ed è subito spiegato: le regioni per le quali è stato speso di meno in passato vedranno meno soldi. Sarebbe stato più equo e perequativo adottare sin da subito il criterio dei fabbisogni, semmai. I fabbisogni standard, infatti, rappresentano le reali necessità finanziarie di un ente, in base alle sue caratteristiche territoriali e agli aspetti sociodemografici della popolazione residente.
Quindi potremmo trovarci con regioni già ricche che beccano tanti altri soldi, a scapito di quelle svantaggiate, e in assenza di LEP?
Esattamente.
Ora che ho capito, posso avere un riassunto veloce, che me lo gioco a cena?
Certo, ricapitoliamo. In tema di autonomia differenziata, il principale nodo riguarda come verranno trasferite le funzioni dallo Stato alla regione secessionista, e dunque le risorse economiche. Nell'idea di Calderoli il trasferimento dovrebbe avvenire individuando i livelli essenziali delle prestazioni (LEP), ovvero quei servizi che lo Stato deve garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. Ma se quei livelli non dovessero essere raggiunti entro 12 mesi (cosa a dir poco improbabile), allora il criterio diventerebbe quello della spesa storica sostenuta da Roma rispetto alla funzione devoluta.
Potrebbero ravvisarsi profili di incostituzionalità?
Certo che potrebbero, se si procederà in assenza della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, costituzionalmente previsti. Sarebbe come demolire alcuni dei principi fondamentali su cui poggia la nostra Repubblica, primo fra tutti: il principio di uguaglianza sostanziale!
E noi cosa possiamo fare?
Protestare, partecipare, discutere. Sollecitare i nostri Sindaci (soprattutto quelli di centrodestra), ed i nostri politici. L'autonomia differenziata è la fine dello Stato, e sarà un salasso per la Sicilia. Qui si può firmare una proposta di legge popolare contro l'autonomia differenziata.