Per anni, decenni, educatori, formatori, insegnanti, organizzatori di eventi culturali e non, uomini di Chiesa e filosofi, pensatori e visionari di questa terra hanno condannato la Mafia, hanno fatto legalità nei modi più svariati, con tutti i mezzi che avevano a disposizione, parlandone nelle aule, ingrossando le fila dei cortei, aspettando navi approdare al porto di Palermo, lo hanno fatto invitando alla visione di film o realizzandoli loro i film ed i cortometraggi, presentando libri e scrivendoli, mettendo in scena la voce ed il coraggio di chi ha versato sangue innocente. Hanno fatto legalità in un territorio in cui non è impresa semplice, eppure affatto impossibile, l’hanno fatta nel migliore dei modi. L’hanno fatta scontrandosi, delle volte vincendo, con un sostrato omertoso, fatto di coppole e ignoranza, che non è simbolico di questa regione. C’è qui come altrove, qui, forse, anzi decisamente, più che altrove, ma non è questo ciò che ci rappresenta.
Adesso che l’attenzione mediatica è puntata tutta su questa terra martoriata, ora che la narrazione giornalistica e televisiva non fa che parlare- giustamente, seppur spesso in un modo non condivisibile, condannabile anzi– del nostro territorio per i recenti fatti di cronaca, adesso che si narra che Campobello sia tutta un covo, che si intervista il vicino, il concessionario, la supplente, l’amante, adesso che il parere si chiede all’anziano senza istruzione sull’uscio della porta, ora che si narra il dicibile e l’indicibile, il dettaglio utile e quello superfluo, ora che la narrazione non fa che parlare di Mafia, omertà, borghesia mafiosa ed il tutto legato ad un territorio, il nostro, quello trapanese, forse sarebbe il caso, per quegli uomini in apertura citati, di condividere un imperativo, andare contro una narrazione che vuole questa provincia criminale. Questa provincia criminale lo sarà eccome, ma non più delle altre province di questa regione, di questo Paese; questa provincia omertosa lo sarà, eccome se lo sarà, ma non solo qui la gente tace.
Se non vogliamo che a Castelvetrano, a Campobello di Mazara, il potere della narrazione faccia l’irreparabile danno che fece a Corleone (lì non servirono i veri boss criminali, bastò un capolavoro cinematografico per fare danno alla città – a proposito di film non mi meraviglio che ne possa arrivare uno presto, o una serie televisiva visti anche i precedenti fortunati targati Mediaset e Rai in egual misura, da “Il capo dei Capi” a “la cattura di Zagaria”, e la passione con cui gli italiani seguono le storie di criminali, un tempo antagonisti, ormai da anni affascinanti protagonisti), se non vogliamo che Castelvetrano diventi – o lo è già? – la città di MMD e Campobello di Mazara il suo covo, forse tocca a noi – che non ci occupiamo di cronaca e di inchieste – cambiare narrazione.
Raccontare il giusto, il bello delle nostre città, dei nostri paesi che rischiano di perdere qualsiasi attrattiva, o peggio, che potrebbero vedere in lui – U Siccu – l’unica attrattiva.
Come Don Vito, il Padrino a Corleone. Sfortuna di un paese ricco di bellezze naturali come le cascate delle Due Rocche e di belle persone come i ragazzi del CIDMA che ancora oggi, invece, si trova a fare i conti con un personaggio così ingombrante come quello nato dalla penna di Mario Puzo, diventato zavorra per una terra che vorrebbe riscattarsi dalla macchia (macchia che è rosso sangue) e che invece del mafioso, della mafiosa, del Padrino ne fa oggetti di merchandising. Ma viviamo in una regione ossimorica, questo ormai è conclamato e chissà se quel ritratto pop rinvenuto a casa Messina Denaro che ritrae il boss incoronato con i Ray-Ban fiammeggianti non diventi uno dei simboli del territorio.
Ma torniamo all’esigenza di uno storytelling diverso, sarebbe bello per esempio leggere di Giuseppe Cimarosa, che non è soltanto il figlio di un pentito, il nipote che ha ripudiato lo zio, ma è uno degli artisti equestri migliori ch’io conosca. Nel 2021 è stato nominato miglior interprete maschile al Galà d’oro in Festival. Ero un bambino quando vidi il suo spettacolo “Mosko” al baglio Calcara a Triscina, ne rimasi folgorato, non avevo mai visto tanta bellezza, dentro c’erano il mito e l’origine della sua città, la morte e la vita, tutta la luce e la liberazione possibili.
Dovremmo leggere (e dunque prima scrivere) dei laboratori teatrali che da anni porta avanti a Castelvetrano Giacomo Bonagiuso, lui, uomo di pensiero come pochi, che ha sempre fatto legalità rendendo omaggio, con il suo teatro – per fare solo un esempio- a Rita Atria, alla memoria della quale nel 2011 dedicò lo spettacolo “Fango”, e ancora lui, Bonagiuso, che con Benito Frazzetta ha realizzato il corto “Volere è Dovere”, che se non avete visto dovete recuperare.
Mi piacerebbe si parlasse del TAM di Marsala, quel “teatro abusivo” fondato da Massimo Pastore e degli spettacoli che ha messo in scena, con la sua scuola e con le tante che lo chiamano dalla provincia per curare la regia dei laboratori teatrali. Che si parlasse di “Sala per signore. Fimmina Sicilia –Racconto per filo e per segno” (scritto da Bonagiuso e diretto da Pastore), della “Cantata per i bambini morti di mafia” e ancora di “Nove ninne nanne per mandare a dormire la mafia” con i testi di Alessandra De Vita.
Restando a Marsala dovremmo parlare della poesia di Nino De Vita, dei fratelli Navarra e della loro casa editrice, dell’attenzione editoriale verso legalità e antimafia che da sempre li contraddistingue, dell’importanza del 38° Parallelo, prezioso festival di saggistica e non solo, del teatro di Luana Rondinelli e quello di Alessio Piazza, l’impegno, oltre che giornalistico, letterario del peraltro direttore di questo giornale, Giacomo Di Girolamo e poi, raggiungendo Trapani, delle graphic novel di Marco Rizzo (come non citare “Peppino Impastato. Un giullare contro la Mafia”), i libri ed i testi teatrali di Giacomo Pilati (“Le siciliane. Storie vere”) e ancora parlare di Musica, degli Skakalab, per esempio, delle loro canzoni ( l’ultima, di pochi giorni fa “Cosa vostra” è meravigliosa, ascoltatela.
Troverei giusto si parlasse di Cultura, della rete delle biblioteche di Trapani, dei patti comunali e intercomunali per la lettura, dei comuni che fanno rete, dei numerosi festival letterari ma anche di quelli teatrali, del Festival delle Orestiadi a Gibellina, nato dal sogno, dalla visione di Ludovico Corrao, sindaco che di più dovremmo ricordare, e ancora, parlare di Carminalia, rassegna organizzata a Salemi dai ragazzi dell’associazione Peppino Impastato che sin dalla prima edizione si è contraddistinta nell’ambito di un teatro di legalità. E sempre a Salemi, quanto sarebbe bello se si parlasse oggi più di ieri, del Museo della Mafia, un unicum nel suo genere, voluto, pensato e ideato da Vittorio Sgarbi e Oliviero Toscani con il contributo artistico di Cesare Inzerillo. Le scuole di tutta la provincia dovrebbero passare da quelle stanze, dovrebbe essere una tappa obbligatoria e invece anche queste stanze, come quelle del CIDMA di Corleone, quasi sempre deserte. Sarà l’anno in cui si comprenderà il valore e l’importanza di questo museo?
Tutta gente e tutte cose di cui si è parlato nel corso degli anni - direte voi. È vero, ma oggi che la narrazione sulla Mafia è così forte tanto da poterne tutti soffocare – i primi, i nostri paesi – è bene ricordarle quelle persone lì, è bene bilanciare una narrazione che appare volontariamente sbilanciata e propende verso i fiancheggiatori incensurati, i vicini omertosi o gli anziani nostalgici (della Mafia? Fa benissimo Pif a mandarli a quel paese). E bilanciarla raccontando il bene, il giusto ed il bello di questo provincia.
Così dopo aver parlato di persone, della bellezza di alcune persone (i nomi citati sono solo esempi, sono pochi, c’è tanta gente che andrebbe raccontata) e della legalità che hanno sempre fatto, più che detto, nei rispettivi ruoli svolti, dopo aver narrato che oltre le coppole, gli esibizionisti, i corrotti ci sta anche questa gente, poi, potremmo narrare con forza la bellezza dei nostri luoghi. Potremmo dire che a Campobello di Mazara oltre ai covi ci sono le meravigliose Cave di Cusa e che a pochi chilometri c’è il sole che incontra il limpido mare di Triscina e Tre Fontane. Che Castelvetrano meriti una visita per un gioiello come la Chiesa di San Domenico, per il Museo Civico Selinuntino che custodisce l’Efebo e che a pochi chilometri si può ammirare il Parco Archeologico di Selinunte. E ancora, parlare di degustazioni di vini, di assaggi di busiate e couscous, di sagre di paese, di nocellara del Belìce ed olio extravergine.
Ma la narrazione che ci vuole criminali, non pensate si combatta così, promuovendo il mare di Selinunte, la Makari televisiva ed il gamberone di Mazara. La narrazione di queste ultime settimane, che ci vuole solo terra di covi, di criminali e collusi si combatte raccontando la provincia che in questi trent’anni ha resistito, facendo e insegnando legalità, in tutti i modi possibili, la provincia bella e giusta, la provincia degli intellettuali, degli scrittori, della gente onesta, dei registi, degli artisti, dei festival e delle rassegne, la provincia dei musei e delle biblioteche, la provincia degli imprenditori coraggiosi, degli insegnanti attenti e dei sognatori, la provincia che ha sempre accolto, la provincia che ha cresciuto e formato. La provincia di chi un giorno è arrivato da lontano, è stato accolto e si è sentito a casa, la provincia delle seconde generazioni, la casa di un mio coetaneo che sulle terrazze della Fondazione Orestiadi, lì dove le visioni sono di casa, una notte mi ha insegnato ad osservare le stelle, a credere nei sogni e a non demordere, la provincia di Housem, che adesso studia fuori e chissà se domani vedremo passeggiare nello spazio. È il suo sogno e ci sta lavorando parecchio.
Ecco cos’è questa terra, terra di sogni e visioni audaci, non soltanto di incubi, covi e criminali.
Filippo Triolo