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19/11/2023 06:00:00

I dieci autori più grandi di ogni tempo in Sicilia. Una classifica 

 La Sicilia è sempre stata un’entità a sé stante rispetto al resto: fin dai primi insediamenti a Lipari, Ragusa e Levanzo, passando per i fenici, greci, romani, bizantini, musulmani, svevi e così via, cristallizzandosi in una storia senza precedenti. E dove c’è così tanta mole storica, è ovvio che sia presente una quantità altrettanto vasta di letteratura. L’articolo di oggi prevede un viaggio attraverso i 10 autori siciliani che, secondo me, hanno cementificato il valore della nostra isola nel corso dei secoli.

Al 10° posto troviamo Epicarmo (VI-V secolo a.C.), uno tra i primi commediografi della storia della letteratura greca. Per nostra sfortuna, delle 40 commedie attribuitegli, possediamo soltanto alcuni titoli e pochissimi frammenti: prediligeva tematiche popolari, affiancate da parodie su argomenti mitologici. Platone lo considerava il più grande esponente della commedia greca ed era notevolmente apprezzato anche da Ennio, il padre della letteratura latina.

Elio Vittorini (1908-1966) si trova al 9° posto, anch’egli siracusano. Uomo molto impegnato in politica, deve la sua notorietà ad un’abilità di far prosa decisamente fuori dal comune. I suoi romanzi principali sono “Uomini o no”, il primo testo in prosa che racconta la Resistenza italiana e, soprattutto, “Conversazione in Sicilia”, un romanzo brillante in cui il viaggio verso la terra natia combacia con una ricerca onirica della propria identità.

 

 

L’8° posto è occupato da Stesicoro (VII-VI secolo a.C.), poeta ritenuto da molti il precursore del teatro tragico, sia per la caratterizzazione profonda dei suoi personaggi che per il rinnovato utilizzo di strutture dialogiche e corali. Anche di lui, però, rimangono soltanto pochi frammenti delle sue 26 opere, che spaziavano dall’epica fino alla poesia erotica.

Gorgia (V-IV secolo a.C.) si stanzia al 7° posto, forse il più grande esponente della corrente retorico-filosofica della Sofistica. Abbiamo due sue opere conservate, l’orazione “In difesa di Palamede” e il noto “Encomio di Elena”, ma sicuramente più importanza aveva avuto lo scritto “Sul non essere”, di cui ci rimane la concezione filosofica del “1) Nulla è; 2) Se anche qualcosa fosse, non sarebbe conoscibile; 3) Se anche qualcosa fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile agli altri”.

Il 6° posto appartiene a Giovanni Verga (1840-1922), maggiore esponente del Verismo ed uno tra i più grandi prosatori della storia della letteratura italiana. Il suo stile rimarca la condizione sociale del cittadino qualunque siciliano, attraverso una tecnica scrittoria sopraffina. Da ricordare la grigia novella “Rosso Malpelo” e i romanzi “I Malavoglia” e “Mastro-don Gesualdo”, in cui sottolinea un sincero pessimismo da poter parzialmente superare soltanto grazie alla famiglia, il proprio ambiente e il lavoro.

Empedocle (V secolo a.C.), uno tra i più grandi filosofi della civiltà greca, si piazza al 5° posto. Non abbiamo tantissimi suoi trattati sulla politica, medicina e così via, ma possiamo consultare dei vasti frammenti di due poemi epico-filosofici: “Sulla natura”, nota principalmente per la teoria cosmogonica dei 4 elementi (fuoco, aria, terra e acqua), e “Purificazioni”, opera che possiede un taglio più mistico e riprende la dottrina pitagorica della metempsicosi, cioè il viaggio dell’anima attraverso i corpi.

Il più noto poeta della Scuola siciliana, Giacomo da Lentini (XIII secolo), sbuca al 4° posto. Notaio di professione, ideatore della composizione poetica del sonetto, rappresenta le radici della letteratura, ma anche della cultura in generale, della nostra penisola. La sua poesia si impronta quasi esclusivamente alle tematiche amorose profondamente interiorizzate, in cui la figura femminile assume un valore etico quasi spirituale. Dante lo considerava il poeta per antonomasia.

Il gradino più basso del podio lo occupa Salvatore Quasimodo (1901-1968), uno tra i più grandi poeti del Novecento. Nelle sue più grandi raccolte, come “Oboe sommerso” o “Ed è subito sera”, rievoca la sua infanzia siciliana contrapponendola alla vita corrotta del nord post-industriale, impreziosito da uno stile ermetico e lacerante. Grazie sia a ciò che alle sue traduzioni dei lirici greci e del teatro europeo, è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1959.

Medaglia d’argento per l’eclettico Luigi Pirandello (1867-1936). Nonostante la personalità politica controversa, è considerato da molti il più grande scrittore del Novecento. Più che per i suoi 7 romanzi o per le sue novelle, mi piace ricordarlo per il peso specifico monumentale che ha avuto nei confronti del teatro in tutto il globo: uno stile asciutto, sarcastico, pessimista e dissacrante, con l’invenzione del cosiddetto “metateatro”. Anch’egli, nel 1934, è stato premiato con il premio Nobel per la letteratura.

 

Prima di annunciare il vincitore di questa classifica stravagante, citerò alcuni grandi autori che non sono riusciti ad entrare nella Top Ten: Formide, Tisia, Cielo D’Alcamo, Stefano Protonotaro, Leonardo Sciascia, Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Andrea Camilleri.

Il 1° posto se lo aggiudica Teocrito (IV-III secolo a.C.). Al poeta siracusano si deve l’invenzione del genere bucolico, componimenti in cui i protagonisti erano dei semplici pastori in scenari che oscillavano dall’allegria al rimorso: questa invenzione aveva avuto un clamore così vasto da influenzare grandissimi poeti come Virgilio, Tasso e Sannazaro. Attribuitegli 30 idilli e 25 epigrammi, il suo modo di fare poesia si eleva così tanto che, secondo me, si possa benissimo considerare il più grande poeta di tutta la letteratura classica.


Luca Lo Buglio