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15/05/2024 06:00:00

C'è poco da fare, in Sicilia non ci sono start up. Perché?

In Sicilia non ci sono start up. Ma non è proprio vero. In Sicilia ce ne sono poche – e in provincia di Trapani nemmeno una. Questi sono i dati pubblicati dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, e che fanno riferimento all’ultimo trimestre 2023. Però andiamo con ordine.

Prima di parlare di start up, bisognerebbe capire perché si parla di start up. O meglio, perché se ne parla con tanto entusiasmo – come approdo salvifico di questa economia (siciliana) in declino. È opportuno chiarirlo visto che il “mondo delle start up” prende forma dentro una bolla speculativa, bolla che si gonfia e all’occasione si sgonfia, ma che è sempre lì lì per scoppiare.

Ci sono in effetti alcune cose da considerare. Da un lato, le start up sono senza dubbio un motore di crescita economica e occupazionale. In senso stretto, le start up danno lavoro. Secondo una ricerca degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, il 50% dei posti di lavoro totali in Italia arriva da scale up, cioè da start up che hanno superato la loro fase iniziale di sviluppo.

Dall’altro lato, c’è un trend negativo innegabile che riguarda lo sviluppo delle start up in Sicilia. Il report del Ministero delle Imprese e del Made in Italy mostra un panorama abbastanza variegato: nella top 3 delle regioni con il più alto numero di start up troviamo infatti Lombardia (27.7%), Lazio (12.4%) e Campania (11%). Nord, centro, sud: seppure con un lieve dislivello, le tre aree sono tutte comprese in questo quadro.

La Sicilia, del resto, non si posiziona male: è la settima su venti regioni, sebbene – a un’analisi più approfondita – si mostra al suo interno particolarmente frammentata. Le start up siciliane si concentrano infatti soltanto su quattro province: a Catania (che conta 246 start up), a Palermo (214), a Enna (17) e ad Agrigento (13). La Sicilia sud-occidentale rimane completamente esclusa dall’ecosistema start up: Trapani non ne ospita nemmeno una.

Eppure non sono questi i numeri da osservare. Per capirci di più, dobbiamo infatti guardare agli investimenti sulle start up siciliane, cioè ai capitali che arrivano sull’isola e permettono alle start up di sopravvivere. Nel 2022, in Sicilia, gli investimenti di venture capital (cioè in capitale di rischio) sono stati pari a 9 milioni di euro – soldi destinati interamente alle imprese innovative.

E nelle altre regioni? Secondo l’EY Venture Capital Barometer 2023, in regioni come il Piemonte, che registra più o meno lo stesso numero di start up della Sicilia, sono arrivati invece 427 milioni di euro. Il Friuli Venezia Giulia, il cui numero di start up si avvicina a quello della provincia di Catania, ne ha ricevuti invece 17 milioni.

 

Il vero problema delle start up siciliane è il denaro

Amedeo Giurazza, amministratore delegato di Vertis SGR, durante un talk sul “Venture Capital nel Sud” – che si è tenuto a Palermo, al Magnisi Studio, lo scorso 7 maggio – è stato molto chiaro: invece di spingere fondi lombardi (soprattutto milanesi) in Sicilia, bisognerebbe lavorare a un fondo SGR siciliano.

I fondi SGR sono infatti strumenti di investimento che, oltre a produrre un rendimento ai risparmiatori, generano crescita economica – perché finanziano le imprese, sostengono l’infrastruttura, promuovono l’innovazione.

Allo stato attuale, circa il 40% dei principali fondi venture capital (in altre parole, i fondi che investono in start up) ha sede in Lombardia. Il resto si distribuisce tra Piemonte e Lazio, mentre al sud opera soltanto una società di gestione del risparmio – la società Vertis appunto, attiva in Campania.

E se è vero che i movimenti di capitale non conoscono confini, e che le idee brillanti nascono ovunque, la realtà è che in Sicilia – come nel sud Italia in generale – non abbiamo ancora un tessuto economico robusto a sufficienza, competitivo, che possa giovare al futuro delle start up. L’idea romantica dell’impresa che si avvia dal garage sotto casa è tramontata ormai da un pezzo, anzi oggi – in questa economia – quasi stupisce che sia sorta.

Le start up hanno invece bisogno di incubatori di impresa, di innovation hub, di spazi di confronto e crescita con una forte credibilità e un solido potere contrattuale, capaci quindi di attrarre – anche qui sull’isola – gli investimenti che servono a farle crescere. Soprattutto però le start up hanno bisogno di altre imprese, di grandi imprese, che hanno voglia di innovarsi e riconoscono nelle start up un’opportunità da cogliere.

Non a caso, sempre secondo l’EY Venture Capital Barometer 2023, gran parte dei capitali arriva dal corporate venture capital – quindi da imprese che puntano su altre imprese nascenti per averne un ritorno che non sarà solo economico ma anche strategico. L’innovazione non può prosperare in isolamento. È necessario un ecosistema completo, composto da università certo, da istituti di ricerca anche, ma soprattutto da aziende consolidate e investitori.

Fino a quando non si lavorerà su questo, la “svolta start up” del sud Italia rischia di rimanere pura retorica politica, priva di alcuna sostanza.

Daria Costanzo