Nei giorni scorsi la Direzione Investigativa Antimafia (DIA) ha eseguito a Castelvetrano, un sequestro di opere d'arte e oggetti appartenenti all'imprenditore Gianfranco Becchina, noto per i suoi presunti legami con Cosa Nostra e le sue attività illecite nel traffico internazionale di opere d'arte.
Il decreto di sequestro, finalizzato alla confisca di prevenzione, è stato emesso dal Tribunale di Trapani. Tra i beni sequestrati figurano anfore di epoca tardo romana e un basamento di marmo di età ellenistico-romana, decorato su tutti i lati con scene mitologiche, tutti di elevato valore storico e artistico (del sequestro abbiamo parlato qui).
La rete del traffico internazionale - Un documento esclusivo ha rivelato l'organigramma che legava semplici tombaroli alla mafia siciliana, attraverso una serie di passaggi tra esperti, curatori, collezionisti, case d'aste e mercanti, fino ai vertici di prestigiosi musei internazionali. I siti archeologici dell'Italia Meridionale sono stati da sempre preda ideale per i tombaroli, diventando parte di un vasto traffico internazionale di reperti archeologici. Questi gli argomenti qualche anno addietro di una puntata di "Petrolio", il rotocalco di approfondimento del Tg1, che menziona Gianfranco Becchina e Giacomo Medici ritenute come figure chiave del traffico internazionale di opere d'arte. Un pentito - ha detto il magistrato Paolo Giorgio Ferri - che i due si erano divisi l'Italia: uno operava a nord di Napoli, l'altro a sud.
Gianfranco Becchina, originario di Castelvetrano, dopo aver vissuto a lungo a Lugano, era proprietario di una galleria d'arte a Basilea. Nel 2017, la magistratura ha sequestrato i suoi beni, ritenendo che il suo patrimonio derivasse da attività illecite di vendita di oggetti trafugati (nel 2022 arriva la confisca). Gli inquirenti hanno ricostruito il traffico grazie ai libri contabili che indicavano clienti e luoghi. Diversi reperti sono stati sequestrati a Becchina, ma molti altri sono stati venduti a musei prestigiosi come il Museo di Berlino e il British Museum.
Il magistrato Paolo Giorgio Ferri: "Abbiamo sequestrato circa 120 volumi, ciascun suo fornitore aveva una serie di cataloghi a seconda dell'importanza degli oggetti d'arte e così abbiamo ricostruito il traffico." Questi libri contabili sono la prova del traffico internazionale di opere d'arte e inchiodano Becchina alle sue responsabilità di mercante di bellezza. Ferri ha aggiunto: "Molti reperti sono stati venduti al Louvre, al Museo di Berlino, al British Museum."
"È impensabile che traffici così complessi non abbiano un avallo di Cosa nostra", spiegano gli inquirenti. Le prime tracce delle indagini su Becchina risalgono agli anni '90, quando due collaboratori di giustizia, Rosario Spatola e Vincenzo Calcara, parlarono di lui. Spatola raccontò che Becchina aveva grandi interessi nel traffico di reperti archeologici. Sia Spatola che Calcara dichiararono che Francesco Messina Denaro aveva interessi notevoli attorno ai reperti archeologici, era a capo di una banda di tombaroli che utilizzava canali internazionali per la vendita all'estero, tra questi canali vi era Becchina. Alcuni "pizzini" di Matteo Messina Denaro rivelano che il traffico di opere d'arte contribuiva al sostentamento della famiglia.
Una parte delle migliaia di reperti trafugati da Becchina - si racconta in Petrolio - è ancora in circolazione, riappare nei musei, nelle aste e nelle gallerie. La parte più consistente è conservata nel caveau del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale dei Carabinieri. Molti pezzi si trovano in musei americani, e molti direttori di musei americani - raccontano gli stessi inquirenti - contrattavano direttamente con Becchina in Svizzera per acquistare le opere.
La storia di Gianfranco Becchina - Tutto è iniziato con una galleria d’arte nel centro di Basilea, ma è finito con una serie di sequestri che sembrano non finire mai. L'ultimo è stato reso noto, come detto, venerdì scorso dalla Direzione Antimafia di Palermo, che da anni dà la caccia al «tesoro» di Matteo Messina Denaro. Non a caso il boss, poco prima di morire, dichiarò che «la storia antica da Roma a salire» era la sua «grande passione». Una passione alimentata con opere e reperti sottratti da siti archeologici in Italia - e soprattutto in Sicilia - e poi trafugati in Svizzera. Da qui, le opere «arrivavano dappertutto», inclusi musei americani.
Gianfranco Becchina, 85 anni, originario di Castelvetrano ma attivo dagli anni ‘70 nella città renana, è una figura conosciuta sia nel panorama culturale che giudiziario. Collezionista affermato a Basilea, dove iniziò a lavorare da giovane in un albergo prima di dedicarsi all’arte, Becchina avrebbe rifornito di «pezzi» di provenienza illecita musei di fama mondiale come il Louvre, il MoMa e il Getty di Los Angeles. La sua galleria, la Palladium Antike Kunst, non esiste più, e molti musei hanno dovuto restituire all’Italia i reperti trafugati dai «tombaroli», soprattutto nel sito archeologico di Selinunte (Trapani).
Sebbene non sia stato accusato di associazione mafiosa, la vicenda di Becchina ha messo in luce il ruolo della Svizzera come crocevia dei traffici illeciti, utilizzato dalla criminalità organizzata come base di appoggio e stoccaggio di opere d’arte trafugate. A partire dal 2006, la Svizzera ha firmato accordi con l’Italia e l'UNESCO, migliorando notevolmente la collaborazione nelle indagini. I sequestri recenti e le restituzioni di reperti dimostrano l'efficacia di questa cooperazione, contribuendo a combattere un business che, sebbene non sia la principale fonte d'introito per i clan, rimane molto remunerativo.
La replica di Becchina: "Non si tratta di nuovo sequestro ma è sempre quello di sette anni fa" - Con un post sul suo blog personale, il castelvetranese commerciante d'arte, noto per le sue attività illecite nel traffico internazionale di opere d'arte, smentisce che quella dalla DIA, Direzione Investigativa Antimafia, sia una nuova operazione e un nuovo sequestro di beni nei suoi confronti.
Becchina afferma che il procedimento di sequestro di beni cui è stato sottoposto nel novembre del 2017 è ancora in corso e che i beni che adesso sono stati trasferiti presso i magazzini della Soprintendenza di Trapani, si trovavano a casa sua ed erano stati già repertati sette anni fa, solo che adesso la DIA ha disposto il prelievo e il trasporto (qui abbiamo parlato della confisca). "Si tratta - afferma Becchina - di un basamento in marmo di forma triangolare raffigurante una scena mitologica scolpita sul lato principale, nonché tre anfore con concrezioni marine. Tutti reperti rimasti nello stesso posto dove in quell’anno furono visionati dai funzionari dello Stato".
Becchina dice anche che sono reperti archeologici acquistati all'estero e arrivati in italia con l'autorizzazione della stessa Soprintendenza: "Reperti di legittima provenienza acquistati all’estero, importati e sdoganati alcuni decenni prima, presso gli uffici della dogana di Marsala con l’autorizzazione della soprintendenza ai BB.CC. di Trapani. La stessa autorità giudiziaria, a fronte della documentazione dei reperti prodotta all’epoca ha riconosciuto la legittimità della mia proprietà".
E lo stesso commerciante d'arte poi tocca il tema della sua presunta frequentazione con Matteo Messina Denaro: "E' altrettanto falso ogni riferimento a Matteo Messina Denaro, persona con la quale non ho mai avuto rapporti di alcun genere, in Italia e all’estero, tantomeno telefonici come falsamente si è voluto sostenere. Sempre al riguardo di Messina Denaro tengo a precisare che in occasione del mio rientro definitivo dalla Svizzera Messina Denaro era latitante da qualche anno".
Qui potete leggere l'inchiesta a puntate di tp24 su Gianfranco Becchina:
Becchina story/1. Dall'esilio in Sardegna, agli affari in Svizzera. Genesi di un mercante d'arte
Becchina story/2. La storia delle armi per uccidere Ciaccio Montalto
Becchina story/3. I racconti di Vaccarino, Grigoli, Cimarosa. Tra tombaroli, buste e finti attentati
Becchina story/4. La difesa: “Matteo Messina Denaro? Mai conosciuto. Solo dai pizzini…”
Becchina story/5. Il furto del Satiro e il “tesoro” di Basilea