Lo scorso mese di Aprile la Corte di Appello di Palermo ha annullato la confisca dei beni a Carmelo Patti. L'imprenditore castelvetranese che ha fatto la sua fortuna nel settore del turismo ma non solo, tra gli uomini più ricchi d'Italia, era stato indicato come uno dei prestanome del boss Matteo Messina Denaro.
Per i giudici Carmelo Patti non ha avuto rapporti con Cosa nostra e così il suo patrimonio è tornato nella disponibilità della famiglia. La Corte d’appello di Palermo Sezione Misure di Prevenzione ha annullato il decreto del Tribunale di Trapani che nel luglio del 2018 confiscò agli eredi i beni dell’ex patron della Valtur deceduto due anni prima. Un patrimonio fatto di società di capitali, aziende di componenti elettrici, villaggi turistici, appartamenti, terreni e una imbarcazione in legno di 21 metri. La corte ha anche escluso che Patti abbia costruito il suo impero con metodi illeciti. Patti in passato era stato accusato anche di concorso esterno in associazione mafiosa ma il procedimento fu archiviato su stessa istanza della procura.
Dal fallimento all'ascesa imprenditoriale - “Né io né mio papà potevamo comprare il necessario per campare … quei quattro pezzi di mobilio che avevamo sono stati pignorati” scriveva così nel 1962 Carmelo Patti in una lettera ai giudici del Tribunale Fallimentare di Trapani. Lui e suo padre all’epoca furono dichiarati falliti. Dopo il fallimento un'ascesa inarrestabile. Fondò la Cablelettra, società che lavorava con l'indotto della Fiat, e poi fece la scalata alla Valtur, una delle più grosse società di ricettività turistica a livello internazionale.
Patrimonio valutato 5 miliardi di euro - Quando nel 2018 il tribunale di Trapani confiscò il suo patrimonio si disse che quella emessa nei confronti del «re» della Valtur, Carmelo Patti, ex muratore di Castelvetrano che aveva scalato il colosso del turismo, fosse la misura di prevenzione patrimoniale più importante dall’entrata in vigore della legge Rognoni La Torre. Effettivamente valeva quanto una manovra finanziaria: 5 miliardi di euro. La lista dei beni sottratti nel 2018 alla famiglia era lunghissima, ben 446 pagine di provvedimento: tre resort turistici, beni della vecchia Valtur, le quote di 25 società, un'imbarcazione, terreni e immobili in giro per l'Italia, in Marocco e in Tunisia. Un tesoro nel tempo in parte azzerato da fallimenti.
Genesi della Valtur - Creata con i soldi della Cassa del Mezzogiorno, fino al ’97 la Valtur era una delle poche aziende pubbliche a non essere etichettate come “carrozzone”. La volevano tutti. Anche gli Agnelli si erano mossi per comprarla. Poi arrivò Patti e la sua Fin Cab. Ha parecchie aziende Patti, parte dalla Sicilia negli anni ’60, direzione Nord, dalle parti di Pavia, e crea il suo impero. Fornisce componentistica a colossi come la Fiat. E’ il 1998, e l’imprenditore di Castelvetrano dà vita ad una operazione tanto coraggiosa quanto spregiudicata acquistando la Valtur per 300 miliardi di vecchie lire. La società oggi naviga in cattive acque. Da qualche mese è stata commissariata, e al 31 ottobre 2010 l’azienda presenta 358 milioni di debiti a fronte di 157 milioni di fatturato. Poi investimenti azzardati, acquisti stratosferici come una nave da crociera, e cattiva gestione hanno portato al collasso il famoso marchio.
L’acquisto dell’ex Villaggio Gassman - Tra i casi citati in un rapporto della Dia c’è quello dell’acquisto dell’ex villaggio - Gassmann di Favignana, il Punta Fanfalo. La vendita all’asta, che risale al 1998, se la contesero due donne: Emma Marcegaglia e una sconosciuta di 21 anni di Castelvetrano, Desi Ingrasciotta, che alla fine la ebbe vinta. Ben presto, dietro quest’ultima spuntarono Patti e la Valtur: era stato il cavaliere Patti a tirare fuori il denaro per l’acquisto del villaggio turistico.
Il primo pentito a parlare di Patti fu Angelo Siino - Tra i primi a parlare dei rapporti di Patti con Cosa nostra è stato il pentito Angelo Siino: “Aiutava ed era aiutato da Cosa nostra e dalla sua ha anche il fatto di essere un massone”. Il racconto dei pentiti colloca Carmelo Patti molto vicino al defunto cassiere della mafia mazarese Francesco Messina detto mastro Ciccio u muraturi. “Mastro Ciccio – dice Siino – aveva tra le mani Patti, tanto che Bernardo Provenzano ci scherzava su, dicendogli che lui non aveva problemi a passare le vacanze alla Valtur”.
I pentiti Giuffrè e Ingrasciotta - Il pentito Nino Giuffrè ha raccontato che Carmelo Patti sarebbe stato un uomo di fiducia del boss Bernardo Provenzano. In audizione ha detto di avere appreso che Patti era a disposizione della mafia. Ha raccontato anche che nel corso di un incontro con Provenzano e Francesco Messina, esponente della famiglia di Mazara del Vallo, Patti sarebbe stato indicato come persona a cui rivolgersi se ce ne fosse stato bisogno. Giuffrè, tra le altre cose, ha raccontato di una conversazione avuta a metà degli anni novanta con l’allora capo dei capi Bernardo Provenzano che gli confidò che due boss sarebbero stati ospitati durante la latitanza in un villaggio Valtur. Giuffrè però non è certo che Patti fosse stato a conoscenza o meno della loro presenza all’interno della struttura. Il pentito Giovanni Ingrasciotta, invece, ha raccontato della vicinanza di Patti a Matteo Messina Denaro. Ingrasciotta infatti ha riferito di aver assistito personalmente ad un incontro tra Messina Denaro e il patron della Valtur in cui i due parlarono di diversi affari. Per Ingrasciotta i rapporti tra Messina Denaro e Patti sarebbero stati molto stretti.
Altre inchieste in cui è rimasto coinvolto - Il nome di Patti rientra anche nell'inchiesta della Procura di Caltanissetta su Antonello Montante, leader di Confindustria Sicilia. Come ha raccontato da Tp24.it, Montante condivideva con la figlia di Carmelo Patti la “A.P. consulting srl”. Nel tempo il nome di Carmelo Patti è comparso più volte accanto a quello di Michele Alagna, ufficialmente insegnante, ma che per Patti svolgeva anche il lavoro di commercialista. Michele Alagna è fratello di Franca Alagna, "compagna" di Matteo Messina Denaro, nonché colei che al superlatitante ha dato una figlia, Lorenza. Michele Alagna ricopriva cariche sociali nelle aziende di Patti. Avrebbe anche custodito gioielli di Carmelo Patti in una cassetta di sicurezza, aveva la delega ad operare su conti correnti, curava i rapporti tributari di una serie di aziende che operavano di concerto con altre imprese del Gruppo Imprenditoriale Patti.
Le amicizie politiche - istituzionali - Quando la situazione della Valtur stava precipitando Patti ha cercato in tutti i modi di salvarla facendola tornare in mano allo Stato. Patti è uno che ha amicizie molto in alto. Da Berlusconi a Gianni Letta, agli ex ministri Scajola e Alfano, per andare al senatore Antonio D’Alì e il deputato Ignazio Abrignani. Con quel governo Patti si trova bene. E proprio la figlia, Maria Antonietta, già amministratore delegato della Valtur, diventa presidente di Buonitalia, società controllata dal Ministero dello Sviluppo. Ma la capofila dei villaggi turistici continua ad inabissarsi, si fa di tutto per far rilevare le quote da Invitalia e Fintecna controllate dal Tesoro, ma i vertici di queste due resistono. Si arriva al commissariamento nell’ottobre 2011. Ad occuparsene sono Stefano Coen, vicino a Gianni Letta, Daniele Discepolo, legato all’ex ministro Paolo Romani che lo nomina suo consigliere, e Andrea Gemma, imparentato con Sergio Gemma (presidente del collegio sindacale della stessa Valtur fino al 2002. I dubbi ci sono, pare che il commissariamento non sia stato proprio il peggiore di tutti i mali per Patti. Eppure all’inizio pareva che lui fosse l’uomo giusto.
Qui di seguito la pubblicazione di un estratto di Cosa Grigia, di Giacomo Di Girolamo, direttore di TP24, in cui racconta di Carmelo Patti e delle sue attività imprenditoriali:
"Nel 2004 la Valtur aveva firmato un contratto di programma per costruire cinque strutture fra Trapani e Ragusa, con un onere complessivo di 52,1 milioni di euro e altri 22,3 a carico della Regione Siciliana. Totale 74,4 milioni, ma a oggi non è stata posata neanche la prima pietra.
Patron della Valtur è Carmelo Patti, originario di Castelvetrano. Ha un piccolo impero da cinque miliardi di euro.
Io me lo ricordo, Carmelo Patti. Personaggi come lui ce ne sono dappertutto nel Sud Italia, questa leva di imprenditori che danno l’idea di non saper fare nulla, e invece fanno tutto, vengono su dal niente e cambiano giro in continuazione. Te li ricordi poveri e poi improvvisamente ricchissimi, senza sapere perché, come se ti mancasse un passaggio nell’equazione mentale che fa di un mezzo fallito un imprenditore di successo.
E te li trovi con la stessa confidenza a occuparsi di cliniche sanitarie come di biomasse, di movimento merci come di formazione o di rifiuti.
Qualche anno fa Patti aveva alcune aziende che si occupavano di «cablaggi», parola misteriosa per noi ragazzini. Noi ci rendevamo conto solo che dava lavoro a tante famiglie del quartiere. In pratica, si occupava di assemblare le componenti elettriche per le automobili della Fiat prodotte nello stabilimento di Termini Imerese. «Lavorare con i fili della Fiat» era un’espressione che a un certo punto divenne il miraggio per le famiglie di noi poveri cristi. Per alcuni era l’occasione per arrotondare lo stipendio da impiegato comunale, per altri un lavoro vero e proprio. Era il 1993. I fili erano quelli dell’impianto elettrico della prima versione della Punto. Quando ci raccontavamo questa storia, ci sentivamo italiani, fieri di essere anche noi una minuscola ruota nell’ingranaggio del Paese. C’erano dei piccoli stabilimenti, garage sperduti in campagna, ci lavoravano le mamme di molti miei compagni di scuola.
Altri si portavano il lavoro a casa, e anche i bambini davano una mano, i fili di rame annodati stretti, la tavola che entrava in casa, magica e misteriosa, con i suoi connettori, i tappetini di plastica rossa. Le nonne in un angolo con l’uovo di legno a rammendare i calzini mentre gli altri erano alle prese con quel gioco che gioco non era. Era un addestramento che durava poco e pure io, che ho la manualità di un elefante, riuscivo a destreggiarmi bene. Poi, tutto finì, improvvisamente, perché c’è sempre un carico di lupini che non arriva a destinazione nelle storie della povera gente che conosco, e non fu un temporale improvviso a far naufragare quella barca di speranza di un lavoro duraturo. Semplicemente, a un certo punto, l’azienda non pagò più. Il mio amico Carlo, mio fratello Carlo, con quei soldi voleva pagarsi le tasse per l’università. Non lo pagarono mai. Lui all’università smise di andarci, le aziende del giro di Patti spostarono tutto – si diceva – nel nuovo eldorado dell’imprenditoria siciliana, la Tunisia, dove il lavoro costa meno, non ci sono regole rigide, non si parla italiano, e in pochi ambiscono di andare all’università.
Noi non lo sapevamo, ma in quegli stessi anni, tra il 1995 e il 1998, in cui le nostre piccole dita annodavano fili di rame per le macchine Fiat, Patti aveva messo in piedi un sistema di scatole cinesi che portò nel 1999 la Finanza a scoprire un’evasione fiscale da trentacinque miliardi di lire. Carmelo Patti, che aveva cominciato come semplice elettricista per poi dare vita a questo giro di aziende nell’indotto Fiat, sparì dal nostro campo visivo. Spuntò qualche anno dopo nelle pagine dei giornali come una della persone più ricche e influenti d’Italia".
Qui, in tre puntate, l'inchiesta di TP24 su Carmelo Patti
Qui la prima, sulla sua ascesa.
Qui la seconda, sui suoi soci.
Qui la terza, sui suoi affari.