È il 14 maggio 1860. Giuseppe Garibaldi, “l’eroe dei due mondi”, è arrivato in Sicilia, da Genova, alla guida di una clamorosa spedizione di un migliaio di volontari, con un unico obiettivo: liberare l’Isola e poi il Sud dai Borbone e proclamare l’Unità d’Italia. Lo sbarco a Marsala, l’11 maggio, è stato tutto sommato agile, l’avanzata procede senza grandi ostacoli. Arrivato nella cittadina di Salemi, nel cuore della Valle del Belice, il generale sale sulla cima del castello. Fa sventolare un tricolore, dichiara la sua dittatura in nome dei Savoia e l’Italia unita. Salemi è la prima capitale dell’Italia liberata.
Centosettant’anni dopo – che l’unità d’Italia poi si è fatta davvero, e adesso, anzi, sono tempi di disgregazione –, e dopo aver vissuto guerre, boom economici, dittature e terremoti, anche la vicina città di Gibellina potrà fregiarsi di un titolo: prima capitale italiana dell’arte contemporanea. Le è stato conferito venerdì dal ministro della Cultura, Alessandro Giuli, al termine di una selezione durata un anno e che vedeva coinvolte altre ventitré città italiane. Nel leggere le motivazioni della commissione, in un clima di tifo da stadio che l’austera sala Spadolini non aveva mai visto, per una volta, si capiva anche il senso di quello che diceva Giuli: «Gibellina con la sua candidatura offre al nostro Paese un progetto organico e solido», ha detto il ministro motivando la scelta della giuria. «Consegnando all’Italia di oggi un esemplare modello di intervento culturale fondato su valori e azioni che riconoscono all’arte una funzione sociale e alla cultura lo statuto di bene comune».
Salemi rimase capitale d’Italia per un giorno. Gibellina sarà prima capitale italiana dell’arte contemporanea per un anno, il 2026.
Trovò una città di pietra, Giuseppe Garibaldi, quando entrò a Salemi. Un secolo dopo, le cose, in quella parte di Sicilia, non erano cambiate molto. Città di pietre, case modeste, economia antica, tempo immobile. La chiamarono, infatti, “la strage dei contadini”, quella sequela di morti che seguì al terribile terremoto che, nel gennaio del 1968, spazzò via centinaia di vite e intere città nella Valle del Belice. Tra queste, Salemi e, soprattutto, Gibellina. Sopravvivere, per alcuni, fu peggio che morire.
Assente lo Stato, molto presente la mafia, la nuova Gibellina fu ricostruita a quasi venti chilometri di distanza da quella vecchia. Anziché case, il governo offriva biglietti di sola andata per emigrare. Fu un giovane avvocato un po’ dandy e molto sagace a farsi portavoce di quel malcontento. Si chiamava Ludovico Corrao. Intellettuale, amico di intellettuali, divenne sindaco di Gibellina nel 1969 e poi dal 1974, per vent’anni. Nella nuova città, già fantasma ancora prima di essere completata, decise di chiamare gli artisti. Pietro Consagra, Ludovico Quaroni, Mario Schifano, Arnaldo Pomodoro, Mimmo Paladino e tanti altri. Riempirono la città nuova delle loro opere d’arte. Anni dopo, Alberto Burri decise di compiere il gesto definitivo: coprire i ruderi del paese vecchio con un cretto, un labirintico sudario che è oggi l’opera di land art più grande d’Europa.
Ludovico Corrao era nato nella vicina Alcamo, dove era stato sindaco, un posto in cui è nata la poesia moderna, nel XIII secolo, con Ciullo d’Alcamo e la sua “Rosa fresca aulentissima”. E forse il suo è stato un gesto davvero poetico.
Nasceva così la Gibellina capitale degli artisti, prima di esserlo, nel 2026, dell’arte. E non mancarono le polemiche. Non tutti capirono il senso di quelle installazioni, in un contesto in cui ancora oggi le grandi opere della ricostruzione devono essere completate. Mancava, in qualche modo, l’anima. Corrao creò allora la Fondazione Orestiadi che divenne con il Museo d’arte contemporanea il centro propulsore della cultura del Belice.
Francesca Maria Corrao, professoressa, ordinaria di Cultura araba all’Università Luiss di Roma, è la figlia di Ludovico: «È il riscatto di mio padre – racconta oggi – che ha avuto questa idea geniale, ma profondamente umana, di trovare nell’arte il modo di reagire al dolore e dalle macerie. Mio padre era un ribelle e lanciò un appello a tutti gli artisti, e la risposta fu corale. Perché la vita non finisce con la ricostruzione di una casa. La vita, per ricominciare, ha anche bisogno di bellezza, perché è la bellezza che dà gioia. Gli artisti parteciparono per dare speranza, ma non fu una battaglia né facile né breve, perché nel tempo si è dovuto scontrare contro il pensiero ricorrente che la cultura non crea valore».
Un lungo percorso, a tratti incompreso, anche doloroso, che oggi vede il riconoscimento che trasformerà, nel 2026 la città in un grande centro di sperimentazione artistica. Questo ambizioso progetto è stato curato da Roberto Albergoni, presidente della Fondazione Meno. L’iniziativa, intitolata “Portami il futuro”, ha l’obiettivo di fare di Gibellina un punto di riferimento per l’arte contemporanea, coinvolgendo artisti, istituzioni, università e associazioni culturali. «È un invito a sostenere il percorso di rinascita attraverso la bellezza – spiega Albergoni – lanciato da Ludovico Corrao dopo il terremoto del 1968».
L’idea è di sviluppare un dialogo costante tra l’arte e il territorio. Per rendere possibile questa trasformazione, Gibellina riceverà fondi significativi, con circa dodici milioni di euro stanziati dalla Regione e un milione dal ministero della Cultura. Questi fondi verranno utilizzati per supportare artisti e per riqualificare spazi culturali della città, tra cui il Teatro di Consagra, da quarant’anni incompiuto (nonostante quattro appalti diversi) e destinato a diventare un nuovo polo di attrazione e innovazione.
Chi continua a vivere qui chiede soprattutto una cosa: normalità. Parola quasi impossibile da pronunciare in questa parte di Sicilia e in questo Comune, Gibellina, nato per essere città laboratorio, capitale dell’arte, e utopia non realizzata, ma che è pur sempre fatta di una quotidianità di persone che attraversano questi spazi.
Forse è proprio per questo che, nel progetto che ha vinto, c’è quell’imperativo: “Portami il futuro”. Portami anche la normalità, se deve essere necessario il viatico dell’arte, ben venga, portami i servizi, gli spazi pubblici, un’idea di città, in questo lembo di terra che ha le case al metro quadro meno care d’Italia – trecento euro. Portami un futuro degno di questo nome, di giovani che non vanno via, di ricchezza vera e per tutti.
La vittoria di Gibellina fa tutti contenti, o quasi. Non è andata giù al sindaco di Gallarate, città sconfitta in finale, Andrea Cassani, classe 1983 e segretario provinciale della Lega. «Ha vinto una città siciliana – è il suo commento un po’ stereotipato e allusivo – e speriamo che impieghino bene quest’ennesimo contributo statale». E ancora: «Gibellina ha sicuramente un patrimonio artistico considerevole, ma ci pare che negli ultimi decenni non si sia resa protagonista di iniziative artistiche contemporanee innovative e degne di nota. Evidentemente ha premiato un modo di proporsi che a noi, con una spiccata “cultura del fare”, non appartiene». Questi meridionali prima rubavano il lavoro, adesso pure i titoli e le “capitali”. Tutta colpa di Garibaldi.