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20/01/2025 08:35:00

"Il Marsala patrimonio Unesco? Improbabile. Ecco perchè"

Massimo Bellina, già export manager della Carlo Pellegrino, uno dei più autorevoli esponenti del mondo del vino, interviene, con una lettera sull'idea di candidare il Marsala, assieme agli altri vini della "Cintura del Sole", come patrimonio immateriale dell'umanità Unesco. Nei giorni scorsi, infatti, è stato firmato un protocollo tra i rappresentanti dei consorzi dei vini fortificati. Bellina ha però molti dubbi. Ecco la sua lettera.

 

 Trovo singolare la proposta di annoverare la pratica della fortificazione, che in sintesi è l'aggiunta di alcol o acquavite al vino, sotto l'ombrello del patrimonio immateriale dell'Unesco e quindi tra i beni non tangibili che costituiscono un valore per tutta l'Umanità.

Spiego brevemente il perché delle mie perplessità ribadendo che ovviamente questa è solo la mia opinione che si basa su un assioma meramente tecnico, e per sgombrare il campo da malintesi affermo che se l’Unesco dovesse accogliere questa candidatura sarei il primo ad esserne lieto al di là dei miei dubbi.


La pratica della fortificazione nasce e si diffonde per una necessità ben codificata che era quella di conferire al vino più stabilità e in definitiva una maggiore resistenza necessaria a mantenerne intatte le caratteristiche organolettiche quando i trasporti erano molto più lenti e le lunghe traversate rischiavano di alterarne la qualità. Insomma si trattava di un artificio un pizzico contro natura e che sebbene necessario, interferiva con l’essenza del vino, i suoi componenti, ed il suo stesso contenuto alcolico generato da una fermentazione per l’appunto naturale. Si può affermare che i produttori di allora facendo di necessità virtù diedero alla luce un nuovo stile di vino con una pratica che seppur ne intaccava la naturalità si rivelò un vero successo alla luce della reazione dei mercati di quel tempo.

D’altro canto trovo invece azzeccata ed intelligente la mossa di accostare il Marsala a vini molto più blasonati come lo Sherry, il Porto lo stesso Madeira ed il Samos. Prodotti che hanno una genetica diversa ma che condividono questa pratica della fortificazione che conduce a vini con caratteristiche originali ma in alcuni casi simili.

Negi ultimi quarantatre anni della mia vita ho avuto modo nel corso di innumerevoli viaggi, di toccare con mano la reale percezione che i mercati hanno del Marsala che è anni luce distante da quella che viene immaginata da chi tenta di gestire il futuro di questo vino. In particolare non posso nascondere nè dimenticare il senso di frustrazione e di impotenza commerciale di fronte a situazioni che testimoniavano l’assoluta inferiorità del nostro vino nei confronti dei suoi confratelli fortificati i cui produttori non hanno fatto gli stessi, grossolani errori degli imprenditori locali ed hanno con lungimiranza intrapreso politiche commerciali diverse sin dall’inizio. Non molti hanno accumulato una esperienza sul campo simile alla mia che mi porta ad essere critico nei confronti di chi parla di Marsala e lo fa tendendo ad idealizzare un prodotto che di tutto ha bisogno tranne che della mera retorica non rendendosi conto della gigantesca problematica legata all’immagine ed al vissuto di questo vino pressoché ovunque. Io credo che ormai il tempo delle chiacchiere si sia esaurito e non certo da adesso e che la poesia dovrebbe essere sostituita da una più realistica prosa il cui scopo non è unicamente quello di migliorare l’immagine del Marsala che per qualità non prende lezioni da nessuno, ma anche e soprattutto di dare impulso alle vendite che ormai si sono veramente ridotte a livelli incredibilmente bassi per rapporto al passato.

Nel 1832 quando Vincenzo Florio” il senatore” lungimirante imprenditore ebbe l’intuizione di sfruttare le potenzialità del Marsala, la Città da cui prende il nome, la nostra, era una tra le più ricche della Sicilia e attraeva molti capitali soprattutto dal Regno Unito. La Marsala di oggi è solo una copia sbiadita che vive all’ombra del suo glorioso passato ed il suo figlio prediletto, il vino Marsala, rischia di scomparire del tutto trascinandosi dietro i sacrifici di chi, viticoltori in primis, hanno creduto e continuano a credere in una improbabile rinascita. Concludendo, un eventuale endorsement Unesco, a mio parere, va inteso come un tassello di un più consistente piano di marketing finalizzato non a dare visibilità a chi lo ha proposto ma bensì a generare un significativo riscontro commerciale che possa tradursi in più bottiglie vendute, fatturati in crescita e soprattutto salvaguardia della filiera.

Credetemi è molto improbabile che qualcuno compri un Marsala lasciandosi suggestionare dalla “fortificazione” come patrimonio Unesco, dalla Sun belt o fascia del Sole e quant’altro; Ci vuole purtroppo molto più impegno per stravolgere la desolante sorte di questo vino e chissà che in futuro imprenditori più avveduti e pragmatici come Vincenzo Florio non siano capaci di ridisegnare l’immagine del Marsala conferendogli una dignità pari a quella delle sue nobili origini. Questo credo sia l’auspicio di tutti. Buona fortuna Marsala.

Massimo Bellina