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21/07/2009 04:44:00

Torna a parlare la vedova di Paolo Borsellino



Anche Pietro Grasso torna a parlare della strage di via D'Amelio dopo le recenti dichiarazioni di Totò Riina e dopo la riapertura dell'inchiesta sull'omicidio del giudice Paolo Borsellino e della sua scorta. Rivelazioni da cui sono scaturite reazioni e commenti - da Nicola Mancino all'epoca ministro dell'Interno, al procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia - proprio nei giorni della marcia delle agende rosse e dell'anniversario della strage.

"Pensare che si possa venire a un qualsiasi accordo con la mafia è fuori da qualsiasi considerazione" ha detto il procuratore nazionale antimafia Grasso a Palermo, a margine della deposizione di una corona di fiori in memoria di Boris Giuliano, ucciso dalla mafia il 21 luglio 1979. "La cosa terrificante - ha aggiunto Grasso - è che a Palermo si muore mentre si fa il proprio dovere. Quello di Boris Giuliano è stato l'inizio di una serie di morti terribili, con l'eliminazione fisica di tutti coloro che ostacolavano l'organizzazione mafiosa".

Nell'intervista a La storia siamo noi, Agnese Borsellino racconta a distanza di tanti anni che il marito era sicuro che la sua morte avrebbe scosso le coscienze. "Due giorni prima che lui morisse mi ha detto: 'Io non vedrò i risultati del mio lavoro, li vedrete voi dopo la mia morte, perché la gente si ribellerà, si ribelleranno le coscienze degli uomini di buona volontà ".

Parlando degli assassini che hanno ucciso suo marito, la signora Agnese ammette di essere pronta a perdonarli ma solo se avranno il coraggio di dire la verità, tutto quello che sanno. "Se mi dicono perché l'hanno fatto, se confessano, se collaborano con la giustizia, perché se arrivi a una verità vera, io li perdono, devono avere il coraggio di dire chi glielo ha fatto fare, perché l'hanno fatto, se sono stati loro o altri, dirmi la verità, quello che sanno, con coraggio, con lo stesso coraggio con cui mio marito è andato a morire".

"Di fronte al coraggio io mi inchino - aggiunge - da buona cristiana dire perdono, ma a chi?, io perdono coloro che mi dicono la verità ed allora avrò il massimo rispetto verso di loro, perchè sono sicura che nella vita gli uomini si redimono, con il tempo, non tutti, ma alcuni si possono redimere è questo quello che mi ha insegnato mio marito".

Poi ricorda quel 19 luglio del 1992. "Era una giornata normale, mio marito si sentiva molto stanco, voleva accontentare me e i miei figli e fare una passeggiata a Villa Grazia, al mare. Alle 16.30 quando sono venuti gli altri sei uomini della scorta, è andato dalla sua mamma perché doveva accompagnarla dal medico. Ha baciato tutti, ha salutato tutti, come se stesse partendo. Lui aveva la borsa professionale, e da un po' di giorni non se ne distaccava mai. Allora mi è venuto un momento di rabbia, quando gli ho detto: 'Vengo con te'. E lui 'No, io ho fretta'; io: 'Non devo chiudere nemmeno la casa, chiudo il cancello e vengo con te'. Lui continuava a darmi le spalle e a camminare verso l'uscita del viale, allora ho detto: 'Con questa borsa che porti sempre con te sembri Giovanni Falcone'. Sono arrivata a dire queste ultime parole".

Agnese parla poi degli uomini della scorta. "Per me erano persone, come per mio marito che facevano parte della nostra famiglia e vivevano quasi in simbiosi con noi, condividevamo le loro ansie, i loro progetti. Un rapporto oltre che di umanità, di amicizia e di reciproca comprensione e rispetto".

L'agenda rossa di Paolo Borsellino "non e' stata certo la mafia a farla sparire": ne e' convinto il procuratore capo di Caltanissetta Sergio Lari. Diverse, secondo il magistrato, le ipotesi della strage di via D'Amelio. "Una e' questa: si pensa che Borsellino fosse venuto a conoscenza della trattativa e che si fosse messo di traverso. E, proprio per questo, sarebbe stato ucciso. Un'altra ipotesi:
quella trattativa si era arenata, e allora Toto' Riina ha deciso di accelerare l'esecuzione della strage di via D'Amelio allo scopo di costringere lo Stato a venire a patti. Adesso,
lentamente, emergono possibili se non addirittura probabili rapporti tra Cosa nostra e settori deviati dello Stato", spiega il magistrato in un'intervista a Repubblica.
"Negli ultimi sei mesi siamo venuti a sapere alcuni particolari che ci hanno permesso di spingere le nostre indagini sulle stragi in territori non solo di mafia", afferma il magistrato, facendo riferimento, in primo luogo, alle rivelazioni del pentito Gaspare
Spatuzza. "Io non sono nella mente di Toto' Riina - afferma Lari - pero' lui sa che Gaspare Spatuzza sta parlando con noi. Non sa esattamente che cosa ci sta dicendo, ma credo che in qualche modo lo immagini. Credo che anche lui pensi che ci sara' proprio una svolta nelle indagini. Ecco perche' e' intervenuto. Vuole dirci qualcosa. E' abbastanza chiaro che quel suo messaggio a mezzo stampa era diretto a noi, ai titolari delle indagini sulle stragi: i magistrati di Caltanissetta". I quali, assicura Lari,
sono "pronti" ad ascoltare il boss: "Ho l'impressione che a quasi 80 anni Toto' Riina voglia levarsi qualche sassolino dalle scarpe".


NAPOLITANO. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, mostra tutte le sue perplessita' sulle recenti rivelazioni, tra gli altri di Toto' Riina, che parlano di una trattativa tra mafia e Stato. Il Capo dello Stato, parlando con i giornalisti al termine della tradizionale cerimonia di consegna del Ventaglio, sostiene che queste sono ''rivelazioni che vengono da soggetti discutibili''. Tutta la questione comunque, aggiunge Napolitano, e' esaminata in sede giudiziaria ''ed e' li' evidentemente che vanno squarciati i veli''.Napolitano chiede infine che si ponga freno ''al clamore eccessivo'' che si sta sviluppando intorno alla vicenda ''lasciando che i magistrati facciano il loro lavoro''.

GARAVINI. Laura Garavini, capogruppo del Pd in Commissione parlamentare Antimafia, si dice ''d'accordo sulla necessita' che l'organismo d'inchiesta ascolti Massimo Ciancimino, il figlio dell'ex sindaco di Palermo, protagonista delle recenti rivelazioni sulle stragi del '92-'93 le cui dichiarazioni sono al centro di importanti sviluppi nelle indagini siciliane. Credo che ci saranno molte persone che dovranno essere ascoltate, anche negli ambienti dei servizi segreti. La Commissione - aggiunge Garavini - deve andare fino in fondo nella propria attivita', rispettando il mandato che ha ricevuto con la legge istitutiva''.

MANCINO. Noi l'abbiamo sempre respinta. L'abbiamo respinta anche come semplice ipotesi di alleggerimento dello scontro con lo Stato portato avanti dalla mafia. La riprova di tutto questo sta nella politica di fermezza adottata dal precedente governo e da quello in cui ero responsabile del Viminale". All'indomani delle dichiarazioni di Totò Riina, l'attuale vice presidente del Csm ed allora - tra il '92 e il '94 - Ministro dell'Interno, Nicola Mancino, risponde così ad una domanda di 'Repubblica' sulla ipotizzata trattativa con la mafia, assicurando che lo Stato non ha mai accettato il ricatto di Cosa Nostra.

Mancino risponde poi alle accuse del fratello di Paolo Borsellino, Salvatore, e dell'europarlamentare Idv Luigi De Magistris sull'incontro tra lo stesso Mancino e il giudice ucciso dalla mafia che sarebbe avvenuto pochi giorni prima della strage di via D'Amelio: "Se ci fosse stato davvero quell'incontro - afferma Mancino - perchè mai avrei dovuto nasconderlo? E poi: che cosa si sarebbero dovute dire due persone che prima non avevamo mai avuto rapporti tra di loro, il primo giorno dell'insediamento di un ministro al Viminale?".

Infine, nel colloquio col quotidiano romano il vice presidente del Csm replica anche a Totò Riina: "Io non ero a conoscenza della cattura di Riina, come lui afferma, una settimana prima. Era solo un auspicio, ma anche una precisa direttiva impartita a tutte le forze dell'ordine con l'urgenza che la situazione richiedeva. E fu questa la risposta - ricorda Mancino - che diedi anche ai giornalisti della stampa estera convocati al Viminale l'11 gennaio 1993, cioè quattro giorni prima della cattura di Riina. Una giornalista mi chiese: chi prenderete? Risposi: Riina. Coincidenza volle che Riina fosse arrestato dai carabinieri pochi giorni dopo. Ma se fossi stato al corrente dell'imminente arresto, sarei stato così ingenuo da dirlo pubblicamente, dirlo con il rischio di far fallire l'operazione?".

VIOLANTE. ''Riina ha comunicato qualcosa a qualcuno. Bisogna capire cosa e' il qualcosa e chi e' il qualcuno''. Lo afferma l'ex presidente della Camera e dell'Antimafia, Luciano Violante in un'intervista alla Stampa.

Per Violante, il boss mafioso che ha fatto rivelazioni tramite il suo avvocato sulla mano dello Stato negli attentati ai giudici Falcone e Borsellino ''avrebbe potuto comunicare direttamente ma non l'ha fatto. Non escludo che tra un po' sia un po' piu' diretto. E' il sistema della comunicazione mafiosa''.

''Quelle due stragi e quei due omicidi - spiega l'ex presidente dell'Antimafia - erano troppo importanti per essere solo fatti criminali. Ci potrebbe essere stato un uso mafioso di una strategia politica o, viceversa, un uso politico di una strategia mafiosa. O anche altro che oggi non siamo ancora in grado di comprendere. Le indagini servono a farci capire e ad evitare che le tragedie si possano ripetere''.