Qui di seguito pubblichiamo gran parte della trascrizione dell’intervento di Alfredo Mantovano, Sottosegretario all’Interno con delega alla Pubblica Sicurezza:
«Parto da una esperienza personale per ricollegarmi al pensiero di Leonardo Sciascia. Era il 1997, facevo parte della Commissione Antimafia presieduta da Ottaviano Del Turco. Al Tg1 trasmettono una intervista drammatica ad un operaio della Cgil che denuncia le infiltrazioni mafiose ai cantieri navali di Palermo e dice: “Nessuno ha dato seguito alle mie denunce. Io medito di suicidarmi perché dopo le mie denunce la Cgil mi ha espulso e la Fincantieri licenziato”.
La Commissione, che ha gli stessi poteri dell’autorità giudiziaria, aprì allora una indagine scoprendo che Cosa Nostra controllava i cantieri navali, non un secolo fa ma 12 anni fa, permettendo, oltre al controllo delle assunzioni e delle commesse, lo stoccaggio dei rifiuti tossici e della droga.
La commissione trasmise gli atti alla Procura di Palermo che finalmente aprì il procedimento che si concluse con degli arresti e delle condanne.
Perché racconto questo episodio ?
Perché gli anni 1997 e 1998 furono gli anni in cui nella stessa città l’autorità giudiziaria era impegnata con dispendio di energie e di uomini nel processo Andreotti, la mafia vera era lì che operava.
Non dico che stavano processando un santo, un beato, una persona che non aveva mai avuto a che fare con certi ambienti. Dico che, se debbo stare ai risultati, in larga parte prevedibili, energie e mezzi venivano impegnati su un fronte che ha dato risultati zero, mentre allo stesso tempo Cosa Nostra gestiva un settore importante dell’economia di Palermo come i cantieri navali.
Tutto questo conferma, ex post, quanto la denuncia di Sciascia contenuta in quel famoso articolo del “Corriere della Sera”, non solo fosse in quel momento fondata, ma addirittura avesse una carica profetica.
Ritornando ad oggi. Non voglio fare polemiche, ma mi chiedo quali ragioni ci sono di riaprire le indagini sui mandanti delle stragi quando queste indagini sono durate 8 anni, prima a Firenze, poi a Caltanissetta, e sono state chiuse da due ponderosi decreti di archiviazione la cui ultima frase è: «La friabilità degli indizi impone di archiviare». Una frase dei Pm recepita dal Gip.
Il ruolo di intellettuale Sciascia l’ha svolto fino in fondo. Il suo contributo è carico di amarezza, pessimismo, ma aveva la capacità di leggere la realtà e la proiezione della realtà nel futuro. Chissà se Sciascia, lui così scettico, avrebbe immaginato ciò che sta accadendo, e cioè un indebolimento delle strutture della mafia in Sicilia, mentre cresce parallelamente la presenza di organizzazioni mafiose come la ‘ndrangheta su l’intero territorio nazionale e spesso al di fuori.
“Professionisti dell'antimafia” è una espressione volutamente accusatoria, coglie certamente molti obiettivi, ne lambisce altri, e in qualche caso ne colpisce altri, forse in modo certamente volontario, ingiustamente, e mi riferisco a Borsellino.
Ma l’articolo di Sciascia si inserisce in un contesto storico, processuale e giudiziario che sembra farlo stridere con ciò che stava accadendo.
Negli stessi giorni della denuncia di Sciascia a Palermo si apre il processo alla Cupola di Cosa Nostra , e in una visione finalmente unitaria in cui si applicava il 416 bis. Stridente appariva dunque quella frase rispetto a ciò che stava accadendo.
Sciascia aveva però individuato l’antimafia come strumento di potere, come qualcosa che avrebbe danneggiato il contrasto effettivo alla mafia. Quell’articolo prendeva di mira un modus operandi che nulla di positivo avrebbe portato nella lotta alla mafia, ma al contrario qualcosa di positivo nella carriera di qualche magistrato e politico, più di uno: ciò avrebbe portato a far preferire alla lucida imparzialità che deve connotare l'azione della giurisdizione, interessi di altro tipo, e carriere fondate su queste rivendicazioni.
Quale può essere l’azione di Sciascia d oggi ?
Un ritorno al reale, ad una antimafia del fare e non del dire.
Per il mafioso l’arresto è un incidente di percorso, un po’ per il calciatore la lesione del menisco: per qualche tempo si sta ai margini, magari dal bordo campo si riesce ancora a mandare qualche indicazione a chi sta ancora giocando nella prospettiva di rientrare a pieno titolo.
Ma ciò che dà veramente fastidio, il simbolo dell’arroganza mafiosa, e che la villa al centro del paese, dopo la procedura di sequestro e confisca, diventa caserma dei carabinieri o scuola. Questo sta accadendo in tanti luoghi d’Italia, in Sicilia, in Calabria, in Campania»