Due imprenditori che dopo la denuncia all’attività giudiziaria e attesi i tempi delle indagini hanno bussato alla porta della prefettura per ottenere l’aiuto, le provvisionali che per legge sono previste a favore di coloro i quali hanno subito la protervia mafiosa, l’estorsione, il fuoco distruttore e l’hanno denunciato. Due
imprenditori che però sono in attesa di risposta, che non arriva per causa della stessa norma che è così articolata tanto da finire col tenere legate le mani di chi deve predisporre gli atti. Anzi la risposta c’è stata: la prefettura di Trapani interpellata dal commissario nazionale del Governo per la lotta al racket e all’usura si è detta impossibilitata a dare un parere sulla posizione dei due imprenditori, dopo che la Procura antimafia di Palermo, interpellata a sua volta per iscritto dalla prefettura di Trapani, ha risposto che ci sono indagini in corso e quindi nulla può dirsi.
Uno degli imprenditori è Vincenzo Parisi il titolare, assieme a Pietro Pipitone, dell’impresa di calcestruzzo Celso di Balata di Baida, frazione di Castellammare del Golfo, che a ferragosto 2007 venne praticamente distrutta, l’altro è Vincenzo Artale un «padroncino» di Alcamo, proprietario di una betoniera con la quale ogni giorno andava a prendere cemento presso una impresa di Borgetto, paese della provincia di Palermo, molto vicino ad Alcamo, il mezzo fu distrutto da un incendio nel 2006 e poche settimane dopo un’altra intimidazione riguardò la profumeria gestita ad Alcamo dalla moglie di questi. Proprio dall’attentato subito da Artale partirono le indagini che hanno portato la Dda di Palermo a delineare i nuovi scenari mafiosi dell’alcamese. In manette l’anno scorso sono finiti presunti nuovi mafiosi assieme a conclamati uomini d’onore nel frattempo usciti dal carcere e tornati a fare parte dell’organizzazione mafiosa. Una indagine che ha fatto scoprire ancora una volta imposizioni di forniture, di cemento in particolare, come nuovo sistema per condizionare gli appalti pubblici e nella zona di Castellammare ce ne è uno grosso in corso, quello per la costruzione del nuovo porto. Ovvio che le imprese di produzione di calcestruzzo fuori dal cartello e dal controllo mafioso costituivano, e costituiscono “scomodi” concorrenti per l’impresa mafiosa, in questo caso specifico della Medicementi dell’imprenditore Liborio “Popò” Pirrone che voleva tutto per se il monopolio del cemento, con una concorrenza fatta di minacce e attentati. Una intercettazione lo ha ascoltato mentre scriveva la lettera anonima diretta agli imprenditori della Celso proprio per minacciarli se loro non si fossero fattri definitivamente indietro dalle commesse. I titolari subirono un attentato e denunciarono ogni cosa. Lo Stato ancora chiede tempo per risarcirli del danno subito.
«Noi speriamo – dice Vincenzo Lucchese, ispettore di Polizia e presidente dell’associazione antiracket di Alcamo – che adesso le due vicende possano sbloccarsi, ho ottenuto rassicurazioni dal prefetto Trotta che ho incontrato. Immagini quanto possa essere di grande impatto potere scrivere all’entrata di questa azienda che la sua rinascita è stata merito anche dell’azione risarcitoria dello Stato, costituirebbe una iniezione di fiducia per gli altri che ancora non denunciano».
Parisi ha presentato l’istanza nel 2007, Artale nel 2008. «Abbiamo ripreso a lavorare – dice Parisi – grazie all’aiuto che ci hanno dato alcune banche, Credito Siciliano e Banco di Sicilia, c’è stata devo dire anche che qualche banca non ci ha trattato bene, ci siamo avvicinati all’antiracket io stesso sono vice presidente di quella costituita a Castellammare, eravamo nel mirino della mafia perchè noi non dovevamo vendere più il nostro cemento, e c’è stato chi è venuto a dirci che il cemento da noi non poteva più comprarlo, nonostante tutto non abbiamo finito di lavorare come i mafiosi volevano, ora però è assurdo che la difficoltà arriva dalla burocrazia statale». «Spesso – aggiunge Lucchese – alcune cose accadono perchè gli uffici e le istituzioni che dovrebbero colloquiare non lo fanno, ma anche su questo ho ricevuto garanzie precise dal prefetto Trotta perchè questo non abbia a ripetersi».
La vicenda degli imprenditori Parisi e Artale è una delle poche giunte sul tavolo della prefettura. A Trapani continuano infatti a non essere denunciate le estorsioni, ancora meno gli usurai, chi ne è vittima, dell’una, la mafia, e dell’altro, il «cravattaro», preferisce il silenzio. «Resta l’amaro che spesso lo Stato finisce con il dare risposte diverse da quelle che ci si attende» commenta Lucchese presidente dell’associazione antiracket e antiusura di Alcamo.
In che senso? «Da un lato si cerca di incoraggiare gli imprenditori, i commercianti a denunciare il racket, l’usuraio, dall’altra parte due righe, del tenore, “ci sono indagini in corso” possono bloccare gli iter per rilasciare gli indennizzi di legge».
Lei se la prende con una burocrazia che dice innesca esasperazione. «Ritengo che serve una modifica della norma, c’è un ministero nel nostro Governo che si occupa di snellimento di procedure, spero che si interessi a tutte le procedure, anche a quella dell’aiuto a chi è taglieggiato o usurato. Ognuno di questi soggetti che non denuncia purtroppo è un esempio positivo per il crimine mafioso, le cronache giudiziarie ci hanno raccontato quanti di questi sono diventati poi loro stessi esattori del pizzo nei confronti di altri colleghi, è una catena che si deve spezzare».
Trapani continua ad essere una provincia dove spesso di fenomeno mafioso si parla per innescare polemiche. Basterebbe invece vedere il numero delle estorsioni denunciate per capire quante non lo saranno mai. Basterebbe sapere delle decine, centinaia di milioni di euro che ogni anno arrivano dalla Comunità europea e poi andare negli uffici di collocamento, nelle agenzie interinali, nei luoghi dove si affolla quell’umanità dolente e rassegnata e capire che qui, nella «Gomorra» di Cosa Nostra, tutto parla di mafia. Tutto è povertà che produce ricchezza che riproduce altra povertà .
Le associazioni antiracket costituite in provincia qualcosa cercano di fare affianco al lavoro giudiziario ed investigativo, che ha messo a segno tanti positivi risultati, che non hanno trovato sostegno adeguato nella politica e nella pubblica amministrazione, dove c’è stato e c’è chi è impegnato a favorire il rigenerarsi di metodi illegali. Ne esistono cinque, quella di Trapani, Marsala, Mazara, Alcamo, Castellammare del Golfo. Contano pochis