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15/03/2010 06:30:25

OPERAZIONE ANTIMAFIA "GOLEM 2" TERRA BRUCIATA PER MATTEO MESSINA DENARO. ECCO COME FUNZIONA LA RETE DI PIZZINI ED ESTORSIONI

15,30 - CHI E' "DIABOLIK" - Il soprannome se l'è scelto da sé: Diabolik, come il ladro gentiluomo protagonista del noto fumetto. Quarantotto anni, "figlio d'arte" - il padre, don Ciccio, è stato lo storico capomafia di Castelvetrano - Matteo Messina Denaro è latitante dal 1993. Dopo l'arresto di Bernardo Provenzano e dei boss palermitani Salvatore e Sandro Lo Piccolo sarebbe lui, secondo le indicazioni concordi degli investigatori, ad avere assunto il comando di Cosa Nostra.
È un enfant prodige del crimine: a soli 14 anni impara a sparare. A 18 commette il primo di una lunga serie di omicidi (gli inquirenti ne hanno contati oltre 50). Un curriculum notevole, che l'avrebbe spinto a dire a un amico: «Con le persone che ho ammazzato io, potrei fare un cimitero». Amante del lusso, degli abiti griffati e delle auto sportive, grande collezionista di orologi Rolex, Messina Denaro racchiude in sé vecchia e nuova mafia. Lontano anni luce dall'immagine del padrino che trascorre la latitanza in isolate masserie di campagna mangiando ricotta e cicoria, continua, però, a gestire i tradizionali affari di Cosa Nostra: come la droga - ha stretto importanti accordi con i cartelli sudamericani - e le estorsioni. Ma non disdegna il traffico di armi, la macellazione clandestina e, grazie a imprenditori prestanome, gli investimenti nella grande distribuzione alimentare. Ha la fama di seduttore ed è stato legato a Maria Mesi (condannata il 28 marzo 2001 per favoreggiamento), ma ha avuto una figlia da una precedente relazione. Recentemente avrebbe tentato di ampliare il suo raggio d'affari in Austria, Svizzera, Grecia, Spagna e Tunisia.
Le vicissitudini giudiziarie di Matteo Messina Denaro iniziano nel 1989, quando viene denunciato per associazione mafiosa. Dal 1993 è costretto alla latitanza insieme al padre, morto da ricercato. La salma venne ritrovata nella bara, pronta per la tumulazione. Ritenuto vicino all'ala sanguinaria di Cosa Nostra di Totò Riina e Leoluca Bagarella, sarebbe stato tra i promotori delle stragi del '93 a Firenze, Milano e Roma per cui è stato condannato all'ergastolo con sentenza definitiva. Nel 1994, secondo quanto raccontano i pentiti, a causa della grave forma di strabismo di cui soffre sarebbe andato a farsi visitare in Spagna, in una nota clinica di Barcellona. L'importanza del ruolo ricoperto da Messina Denaro in Cosa Nostra viene confermata quando, dopo la cattura del boss Provenzano, gli inquirenti scoprono il fitto carteggio tra i due capimafia. Nelle lettere, che sembrano escludere l'esistenza tra i due dei contrasti di cui avevano parlato alcuni collaboratori di giustizia, il giovane rampollo trapanese si rivolge all'anziano padrino con rispetto, ma da pari a pari.

15,00 - ESTORSIONI PER LE IMPRESE NON TRAPANESI- "All’occorrenza - raccontano gli inquirenti - Messina Denaro ha anche ricevuto pizzini con all’interno una banconota da 500 euro ben piegata". Per la famiglia mafiosa di Castelvetrano esiste un’altra "regola ferrea", riguardante il sistema delle estorsioni: "Il pizzo non viene richiesto alle imprese della provincia di Trapani, ma alle società che arrivano da fuori la provincia, con richieste estorsive pari a quasi il 3% degli appalti che vengono aggiudicati".

14,00 - GLI INQUIRENTI. “Quest’operazione priva Matteo Messina Denaro dei suoi uomini di fiducia, che hanno dato sostegno al latitante mettendo a ferro e fuoco il territorio del Trapanese”: lo ha detto il procuratore aggiunto di Palermo, Teresa Principato, alla conferenza stampa tenutasi alla questura di Trapani per illustrare i risultati dell’operazione Golem 2. “Questa seconda fase dell’indagine (nello scorso mese di giugno fu sgominata parte della rete di protezione attorno al boss, ndr) nasce – ha aggiunto il pm – da un’attenta analisi dei pizzini”. Il magistrato ha sottolineato che “quasi tutti i destinatari dei provvedimenti cautelari sono legati al boss latitante da vincoli di parentela” e questo conferma che Matteo Messina Denaro “si fida solo di queste persone”. Ragion per cui l’operazione assume una valenza particolarmente significativa. Principato ha auspicato, rivolgendosi ai giornalisti, un nuovo incontro in breve tempo: “il prossimo appuntamento sarà per parlare di Matteo Messina Denaro”. Parlando dei pizzini, il capo della Mobile di Trapani, Giuseppe Linares, ha rimarcato una peculiarità: i destinatari dei messaggi, contrariamente a quanto avveniva ad esempio con i boss Lo Piccolo, non li strappavano, ma li bruciavano perché si perdesse ogni traccia. Il particolare è stato accertato dagli investigatori attraverso i video registrati all’interno di un’autofficina dove avveniva, generalmente, lo scambio di informazioni. Anche Linares a voluto rimarcare che Golem 2 “é la più importante e incisiva azione di contrasto portata avanti finora contro il boss latitante.

12,00 - COLPITA LA RETE DEL BOSS. “E’ stato scoperto e disarticolato quello che era un verso e proprio ’servizio postale’ utilizzato negli ultimi 14 anni dal superlatitante Matteo Messina Denaro per comunicare, attraverso i pizzini, gli ordini del boss divenuto ormai il capo di Cosa Nostra”. Lo ha detto in un’intervista a Sky Tg24 il funzionario del Servizio Centrale Operativo della Polizia, Vincenzo Nicolì, commentando i risultati dell’operazione Golem 2 che ha portato al fermo di 19 presunti fiancheggiatori del capomafia trapanese. Il funzionario di polizia ha sottolineato che Messina Denaro si serviva di una rete capillare, formata da alcuni familiari e dai suoi fedelissimi, per comunicare le disposizioni da impartire all’organizzazione attraverso il sistema ormai rodato dei famigerati “pizzini”, la forma di comunicazione imposta da Bernardo Provenzano per sottrarsi alle intercettazioni.

11,35 - TRA I FERMATI 83ENNE COMPONENTE BANDA GIULIANO. E' considerato il veterano della mafia trapanese. Con i suoi 83 anni suonati Antonino Marotta, e' di gran lunga il piu' anziano dei 19 fermati oggi dalla polizia nell'operazione "Golem 2", che ha inferto un duro colpo alla rete di protezione di Matteo Messina Denaro. Marotta, posto ai domiciliare per la sua eta', era un componente della banda di Salvatore Guliano, in passato gia' coinvolto in inchieste antimafia e immortalato in alcune foto con il bandito di Montelepre.

11,00 - GLI ATTENTATI E LE INTIMIDAZIONI. Alcuni degli arrestati sarebbero gli esecutori materiali di diversi incendi dolosi ai danni di imprenditori, come ad esempio il presidente del Consorzio per la tutela e la valorizzazione dei prodotti agricoli della Valle del Belice Nicola Clemenza, ma anche di politici, come il consigliere comunale del Pd di Castelvetrano Pasquale Calamia al quale fu bruciata una villetta a Triscina perché, nel corso di un consiglio comunale, si era permesso di dire che la latitanza di Messina Denaro era "un'offesa per Castelvetrano".

10,40 - IL BOSS SI NASCONDE A CASTELVETRANO. In carcere anche alcuni cugini di Messina Denaro, Giovanni e Matteo Filardo, commercianti, imprenditori e bassa manovalanza, quasi tutti della zona di Castelvetrano, paese di cui è originario il boss. E le intercettazioni della polizia hanno confermato che l'imprendibile capomafia si nasconde a casa sua. Proprio a Castelvetrano, infatti, i suoi uomini avevano avuto ordine di preparare un alloggio con tutti i comfort per ospitare Matteo Messina Denaro nelle sue occasionali presenze in città.

10, 20 - Ecco in fondo a questa pagina il video delle indagini: i pedinamenti e gli appostamenti della Polizia. L'operazione del Servizio Centrale Operativo e delle Squadre Mobili di Trapani e Palermo.

9, 45 - IL FRATELLO DI MESSINA DENARO, LE ESTORSIONI, LE INTERCETTAZIONI, LE DICHIARAZIONI DI LINARES. Tra i fermati c'è anche il fratello del boss, Salvatore, accusato tra l'altro di avere imposto un'estorsione a un'impresa edile (in particolare avrebbe chiesto il 3% dell'appalto su un lavoro eseguito a Castelvetrano), e due cugini. In manette anche altri 'fedelissimi' di Messina Denaro, che secondo gli investigatori si sarebbero prestati a recapitare e a ricevere la corrispondenza del capomafia, "sia per agevolarne la latitanza - dicono gli inquirenti - sia per assicurare la trasmissione di intese e direttive di indubbia rilevanza per gli scopi precipui dell'organizzazione mafiosa".
In carcere elementi di spicco delle cosche trapanesi, compresi i presunti reggenti delle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara, Partanna e Marsala. Manette anche per l'83enne Antonino Marotta, tra i 'fedelissimi' del bandito Salvatore Giuliano negli anni Cinquanta e oggi tra i fiancheggiatori del boss mafioso.
Dalla latitanza dorata, Matteo Messina Denaro riesce a continuare la sua azione criminale portando avanti affari milionari grazie ad "appoggi e contatti" di numerose persone. Ad aiutare gli investigatori sono state alcune intercettazioni.
"Da alcuni passaggi delle intercettazioni - dicono gli inquirenti - si desume il penetrante controllo del territorio da parte del gruppo criminale capeggiato dal superlatitante; il ricorso sistematico alla violenza per la realizzazione degli obiettivi; il programma di gestione di alcune risorse economiche della zona; l'assoggettamento delle imprese, in molti casi titolari di importanti appalti pubblici, al sistema delle estorsioni e il sistema di riscossione delle relative tangenti; le attività di sostegno alle famiglie dei detenuti con il pagamento delle spese legali e di quelle personali attraverso i proventi delle estorsioni; la ricerca di consenso, di "disponibilità" e mutua assistenza tra i membri dell'organizzazione e verso il capomafia latitante".
Seguite dagli investigatori 'in diretta' le modalità di pianificazione e di attuazione di diversi attentati incendiari da parte di quei personaggi risultati coinvolti nel nuovo livello di supporto al latitante, "con azioni che inconfutabilmente - dicono i magistrati - hanno avuto quale comune matrice il mantenimento della vitalità di Cosa nostra nei territori di influenza del mandamento di Castelvetrano".
Gli investigatori spiegano che "le importanti risultanze'' raccolte nell'operazione ''hanno trovato pieno riscontro nei 'pizzini' attribuiti al boss '' sequestrati negli ultimi anni ''che hanno consentito di ricostruire lo scambio di messaggi ed il costante collegamento del latitante con gli altri elementi di vertice di Cosa nostra, tra cui Bernardo Provenzano e i Lo Piccolo".
Soddisfatto il dirigente della Squadra mobile di Trapani, Giuseppe Linares che ha condotto l'operazione insieme con lo Sco di Roma: "E' stata un grave colpo per il capomafia", ha commentato. "Si tratta del miglior approfondimento investigativo sulla rete di protezione del boss Messina Denaro - ha spiegato - che può ancora disporre di numerosi contatti e appoggi".


 

9, 30 - CHIESTO IL SEQUESTRO DI NUMEROSE AZIENDE. Nell’ambito dell’operazione Golem 2, è stato chiesto all’autorità il sequestro di alcune aziende che operano nel settore della ristorazione e della distribuzione alimentare, risultate fittiziamente intestate a prestanome di parenti di Matteo Messina Denaro e di affiliati al mandamento mafioso di Castelvetrano. L’obiettivo era quello di sottrarre il patrimonio accumulato illecitamente ai provvedimenti di confisca e sequestro. Gli investigatori hanno accertato infine numerose estorsioni nei confronti di imprese impegnate in appalti nel comune di Castelvetrano come quello per la costruzione di serbatoi e condotte dell’acquedotto Bresciana o le opere di completamento del Polo tecnologico integrato in contrada Airone.

MessinaDenaroMatteo12b.jpg8, 30 - "GOLEM 2", TERRA BRUCIATA INTORNO A MESSINA DENARO. Un’operazione finalizzata a smantellare la rete di favoreggiatori del superboss latitante Matteo Messina Denaro, indicato come il nuovo capo di Cosa Nostra, è stata realizzata in provincia di Trapani. Gli investigatori della Polizia di Stato appartenenti al Servizio Centrale Operativo ed alle Squadre Mobili di Trapani e Palermo, hanno eseguito 19 fermi emessi dalla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo. Gli indagati devono rispondere, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamenti e trasferimento fraudolento di società e valori. Secondo l’accusa farebbero parte della struttura trapanese di Cosa Nostra; alcuni di loro sono legati anche da vincoli di parentela con il boss latitante attorno al quale gli investigatori hanno fatto ormai ”terra bruciata”. Contestualmente all’esecuzione dei provvedimenti di fermo, gli investigatori della Polizia, con il supporto dei Reparti Prevenzione Crimine, hanno eseguito 40 perquisizioni, in diverse regioni italiane nelle province di Trapani, Palermo, Caltanissetta, Torino, Como, Milano, Imperia, Lucca e Siena.

Dall’inchiesta Golem 2 che ha portato al fermo di 19 presunti fiancheggiatori del boss latitante Matteo Messina Denaro emerge che il capomafia si serviva di fiancheggiatori insospettabili incaricati di gestirne la latitanza e di occuparsi degli affari della famiglia. Tra i fermati anche il fratello del padrino, Salvatore Messina Denaro. In cella sono finiti inoltre, tra gli altri, Maurizio Arimondi, Calogero Cangemi, Fortunato e Lorenzo Catalanotto, Tonino Catania, Andrea Craparotta, Giovanni Filardo, Leonardo Ippolito, Antonino Marotta, Marco Manzo, Nicolo’ Nicolosi, Vincenzo Panicola, Giovanni Perrone, Carlo Piazza, Giovanni Risalvato, Paolo Salvo e Salvatore Sciacca. Alcuni sono legati al latitante da vincoli di parentela. L’indagine ha evidenziato, inoltre, come Cosa nostra continua a utilizzare uomini d’onore storici che, scontata la pena e usciti dal carcere, tornano a dare il loro contributo all’organizzazione. E’ il caso di Filippo Sammartano, Antonino Bonafede e Piero Centonze.

Le indagini della polizia sono state coordinate dal Procuratore di Palermo Francesco Messineo, dall’aggiunto Teresa Principato e dai Pm Marzia Sabella e Paolo Guido. L’operazione è stata denominata in codice Golem 2. Gli arresti costituiscono infatti il seguito dell’operazione Golem 1 del giugno scorso, condotta da uno speciale team investigativo, con l’obiettivo di disarticolare la rete di complicità che avrebbe favorito la latitanza di Matteo Messina Denaro. Tra i destinatari dei provvedimenti restrittivi figurano infatti alcuni fedelissimi del padrino trapanese che avrebbero svolto il ruolo di ”postini” per recapitare la corrispondenza del boss contenente ordini e disposizioni. Gli investigatori sono riusciti a ”intercettare” alcuni pizzini attribuiti a Messina Denaro, che in passato aveva avuto un fitto scambio epistolare con Bernardo Provenzano e i boss Lo Piccolo. In cella sono finiti anche alcuni elementi di spicco di Cosa Nostra trapanese, tra cui i reggenti delle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara, Partanna e Marsala che avrebbero svolto un ruolo di raccordo tra Messina Denaro e i suoi affiliati nonché con i vertici delle cosche palermitane.