La conseguenza è inevitabile: coloro che hanno formato in Sicilia, nell’Assemblea regionale, nei consigli provinciali e comunali, gruppi autonomi sotto l’egida del Pdl Sicilia, sono automaticamente fuori dal Pdl. Sul significato di quell’automaticamente non dovrebbero esserci dubbi sul piano concettuale e lessicale – i ribelli non fanno parte del Pdl – ma la politica, come sappiamo, non rispetta né la logica né il lessico o la proprietà del linguaggio, viaggia secondo schemi e regole variabili che si adattano al contesto “mirato”.
Che Verdini non avesse in testa solo i gruppi parlamentari di Fini non ci sono dubbi, la sua enunciazione è stata esaustiva, ha messo dentro tutto, dai consigli regionali ai consigli comunali. Nessun dubbio. Così stando le cose, a meno che le parole di Verdini non siano tradotte secondo convenienza, le implicazioni sarebbero serie: tutti coloro che hanno formato nell’Isola –e sono tanti – gruppi autonomi fuori dal Pdl, come Pdl Sicilia, non fanno più parte del Pdl.
L’interpretazione autentica, tuttavia, verrà nei prossimi giorni. Lo stesso Verdini deve essersi reso conto che la sua dichiarazione, corretta ed ineccepibile nella forma, non è un ultimatum, in considerazione dell’espressione usata, ma una presa d’atto che provoca effetti inevitabili.
C’è un dettaglio non trascurabile: il capo dei rivoltosi siciliani è un membro del governo nazionale, Gianfranco Micciché, sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio. Significa che è “automaticamente” fuori dal Pdl”, avendo dato vita al gruppo parlamentare regionale del Pdl Sicilia, gruppi consiliari in alcune realtà locali? C’è di più: Micciché ha trattato, e tratta, la partecipazione al governo regionale presieduto da Raffaele Lombardo, nel quale si trovano da quasi un anno due rappresentanti del Pdl Sicilia, Michele Cimino e Titta Bufardeci.
Il fatto che Micciché abbia sempre spiegato che la sua ribellione non è rivolta contro Silvio Berlusconi ma contro i rappresentanti del Pdl in Sicilia, costituisce una eccezione? Se il Pdl Sicilia è vissuto a lungo senza ricevere ultimatum né punizioni, è dovuto al fatto che il sottosegretario Micciché – è lui ad avere vantato questa prerogativa – ha incontrato comprensione nel suo leader.
Come potrebbe funzionare l’automatismo in un caso del genere? Richiamerebbe la complicità , oggettiva ma tale, del capo del Pdl, sotto forma di acquiescenza inoppugnabile. D’altra parte, ove si considerasse la questione siciliana come un fatto a sé, ne uscirebbero indenni i finiani che ne costituiscono l’anima “ideologica”, e ne nascerebbe un putiferio sulla strumentalità dell’enunciazione verdiniana.
L’automatismo rivendicato da Verdini può indurre ad un autentico cul de sac il Pdl e concedere un assist al Pd siciliano, almeno a quella parte del Pd, tentato dall’idea di entrare nel governo regionale a vele spiegate insieme al Pdl Sicilia “berlusconiano” con motivazioni politiche e convenienze tattiche che sono state spiegate da autorevoli dirigenti. La discriminante finora manifestate – nessun patto di governo con il Pdl – è sulla carta rispettata se l’automatismo è proprio tale. Se i ribelli non fanno più parte del Pdl, infatti, il veto decade altrettanto automaticamente.
Naturalmente la sequenza descritta è solo teorica e come tale rappresenta una metafora del ginepraio in cui si è cacciato il Pdl, e non solo. La Sicilia attende una maggioranza riconoscibile e il governatore non riesce a trovare la quadra per le divisioni interne ai partiti, i veti incrociati e –soprattutto – l’enigma del Pdl Sicilia, che non è né carne né pesce.