Entrambi erano stati denunciati dal consigliere provinciale Peppe Angileri, del Mpa, lo stesso partito per il quale, nel maggio 2007, Fazzino e Di Girolamo (il primo consigliere comunale uscente, il secondo reduce dall'esperienza alla Provincia) si erano candidati al Consiglio comunale.
E secondo l'accusa, nel corso di quella infuocata competizione elettorale, tra il primo turno e il ballottaggio tra i candidati a sindaco Renzo Carini (centrodestra) e Leo Giacalone (centrosinistra), i due candidati al Consiglio sarebbero andati a casa di Angileri, in quel momento già eletto in Consiglio provinciale, per invitarlo a non sostenere la candidatura di Ginetta Ingrassia, ma appoggiare la loro.
E secondo quanto denunciato da Peppe Angileri, Fazzino e Di Girolamo, che non furono eletti, non si sarebbero limitati ad un semplice invito, per quanto pressante, ma sarebbero andati ben oltre, pronunciando frasi ritenute minacciose. Circostanza, naturalmente, sempre negata dai diretti interessati. La vicenda, com'è ovvio, a suo tempo, destò parecchio scalpore nel mondo politico marsalese.
Successivamente, però, con mossa a sorpresa, Angileri decise di rimettere la querela (non si sa bene perché), ma il procedimento penale era ugualmente andato avanti perché il reato di minacce è «procedibile d'ufficio».
E per questo, davanti al giudice monocratico Sergio Gulotta, gli avvocati difensori Paolo Paladino e Nicola Sammaritano hanno cercato di smontare l'accusa affermando, nel corso della loro arringa, che «non vi fu alcuna pressione o minaccia». Ne poteva esserci, hanno proseguito, perché la Ingrassia, attuale capogruppo del Mpa in Consiglio, era già stata eletta al primo turno.
«Di fatto - secondo i due legali - gli imputati non potevano allora influire sulla libertà morale dell'Angileri e sulla sua libertà di voto». Alla fine, però, non è stato necessario pronunciarsi nel merito dell'accusa. Al magistrato è stato sufficiente limitarsi ad applicare il codice.
Antonio Pizzo - La Sicilia