Attorno a lui gli inquirenti stanno cercando di fare terra bruciata e ieri vi è stata una nuova operazione che ha portato all'arresto di undici persone appartenenti alla famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, ritenuta una delle ultime roccaforti del ricercato numero uno. Ma del leader di Cosa Nostra nessuna traccia. Eppure la inchieste dimostrano la sua presenza nel territorio a Trapani e non solo.
Non mancano infatti riferimenti al figlio di “Don Ciccio” nelle più recenti operazioni antimafia che si sono svolte nel palermitano. A confermarlo è stato anche il maggiore Antonio Coppola, comandante del Nucleo investigativo dei carabinieri di Palermo: "Nel corso degli anni è apparsa evidente da parte dei capimafia ai vertici dei mandamenti palermitani, una sorta di ricerca di legittimazione al potere, tramite la propria vicinanza a Matteo Messina Denaro o a soggetti a lui vicini. Un aspetto riscontrato con dovizia di particolari dalle intercettazioni ambientali. I boss cercavano di far valere la propria leadership su altri basandosi proprio sulla legittimazione trapanese. Oggi non è possibile ragionare solo ed esclusivamente in termini di famiglie e mandamenti ma di aree territoriali che hanno logiche spesso congruenti e parallele. E certamente chi può vantare la vicinanza con Matteo Messina Denaro assume un peso specifico maggiore all'interno degli equilibri di Cosa Nostra palermitana".
I segnali di un possibile coinvolgimento del boss di Castelvetrano negli affari di Palermo erano emersi ad esempio nell'inchiesta Perseo. Sia il gruppo vicino ai Capizzi, favorevole alla nuova commissione, sia quello avverso capeggiato dalla famiglia di Porta Nova vantavano contatti con il superlatitante: alcuni tramite pizzini, altri con l'intermediario “zio Franco” (Franco Luppino di Campobello di Mazara).
Abbiamo accettato un certo tipo di situazione di parlare con lui per andare fuori” raccontava Sandro Capizzi a Giovanni Adelfio e Pino Scaduto. E riguardo il progetto sulla nuova commissione aggiungeva: “lo Zio Franco mi ha detto ‘sistematevi tutte cose…anzi ci avete perso tempo… dopodiché non cambia niente… o prima o dopo da parte nostra avrete il massimo appoggio”.
Pur senza entrare nel merito della riorganizzazione della nuova Cupola il boss aveva fornito importanti indicazioni anche in merito a questioni complicate e spigolose.
Una di queste riguardava il ritorno dei cugini Biondino nel mandamento di San Lorenzo i quali erano arrivati a millantare un appoggio da parte dello stesso Messina Denaro per scalzare l'uomo di Capizzi. Ma il boss trapanese suggerì la soluzione: “Sandro, ma né ora né mai...ti posso già subito dire, fin da adesso vai tranquillo. Primo perché non se n’è parlato mai...però non li toccate perché sono figli di amici, di picciotti che ci tengo”. Ma nel tempo l'incrocio tra i boss palermitani ed i trapanesi non si è mai interrotto. Anche nella più recente operazione “Idra” il capomafia Giulio Caporrimo fa dei riferimenti ai trapanesi. Prima parlando della propria detenzione, in cui ha condiviso la cella con Epifanio Agate, figlio del potentissimo capomafia Mariano. Poi dicendo di essere in attesa di una chiamata da parte delle stesse famiglie della provincia di Trapani fornendo un presioso particolare: “per ora ormai "iddi" comandano a noi altri ... e sto cercando se loro si fanno sentire". Un segnale che Trapani abbia scavalcato Palermo nella gerarchia mafiosa? Forse è presto per dirlo. Quel che è certo è che in seguito alle tante operazioni avvenute nel corso degli ultimi anni quella palermitana è una mafia sempre più frammentata ed ora che i Riina, i Provenzano ed i Lo Piccolo sono in carcere, a Palermo mancano le figure di spessore capaci di unire i mandamenti sotto un unico pensiero. Quello che invece è presente a Trapani dove il “potere” è saldamente in mano a Messina Denaro senza il bisogno di “grandi summit” che vengono poi scoperti dalle forze dell'ordine. Il boss trapanese è forte nel proprio territorio che controlla in maniera capillare.
Ed è proprio nel trapanese che, così come ha detto il procuratore capo di Palermo, Messina Denaro “può contare su una rete di fiancheggiatori che svolgono il 'compito' gratis, senza chiedere nulla in cambio”. Gli inquirenti hanno infatti denunciato “una sorta di adesione ideologica alla figura del latitante. Quasi un impegno collettivo di protezione nei suoi confronti. E' una 'primula rossa' amata e stimata da tutti e onorata come tale. Usufruisce sempre di nuova linfa vitale e ha collegamenti con la borghesia, non solo mafiosa”. E l'a venerazione verso il boss di Castelvetrano non è manifestata solo dagli uomini vicini a Cosa Nostra ma anche da persone “normali” come studenti od operai (Vi è persino un'intercettazione telefonica in cui un operaio dice al suo interlocutore: 'Mi piacissi favorire a latitanza di Messina Denaro')”.
Ed è anche grazie a questo consenso che il capomafia risulta imprendibile persino quando, come è avvenuto lo scorso maggio, a dare la dritta è stata direttamente l'Aisi (il servizio segreto italiano). Un consenso che va scardinato il prima possibile.
Aaron Pettinari - Antimafia Duemila