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13/01/2012 08:17:07

Le nozze di Cana e i suoi simboli

Il luogo delle nozze, Cana di Galilea, che allude probabilmente al verbo ebraico “qanah” che significa “acquistare,” rinvia a Israele, il popolo acquistato da Dio con l’antica alleanza e che Gesù acquisterà con la nuova.
Infine, la cifra sei, riferita al numero delle giare, indica l’incompletezza, l‘imperfezione, in opposizione al “sette” che indica la totalità.
Tutto ciò lascia trasparire il significato simbolico dell’episodio, la cui chiave di lettura è contenuta in un versetto del prologo all’evangelo: “Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo”. (Gv 1,17) Con il cambio dell’acqua in vino, l’evangelista propone, infatti, il cambio dell’alleanza; da quella di Mosè a quella di Gesù. Tutto il brano è infatti centrato sulle nozze, tema con il quale i profeti raffiguravano l’alleanza tra Dio, lo sposo, e Israele, sua sposa. La simbologia del vino è il tema centrale dell’episodio. Il vino rappresenta l’amore degli sposi ed è un elemento indispensabile nelle nozze. Il vino esprime la vitalità, la rigogliosità, esalta l’ebbrezza dell’incontro sponsale. Il vino è simbolo dell’amore sponsale tra Jahvè e il suo popolo. Ma durante il banchetto nuziale il vino viene a mancare. Si è di fronte a un matrimonio in cui manca il vino; nell’alleanza tra Dio e il suo popolo è venuto a mancare l’amore. Interviene allora la “madre di Gesù.” Essa in quest’evangelo non ha un nome. A differenza dei vangeli sinottici, è infatti qui sempre denominata “la madre di Gesù” e presentata solo attraverso la relazione che ha con il figlio (cfr. anche Gv 6,42 ; 19,25). E’ colei che lo ha generato, ma “madre di Gesù” è anche la comunità fedele d’Israele che lo ha cresciuto religiosamente. Durante la vita pubblica di Gesù, la “madre” non comparirà mai. E’ presente solo in due circostanze strettamente legate tra loro: a Cana, dove Gesù annuncia la sua “ora”, e alla crocifissione (Gv 19,25-27), dove la porta a compimento. La “madre” si rivolge a Gesù senza chiamarlo “figlio”; essa, da un lato, è un membro delle nozze, e dall’altro, ha uno stretto vincolo con Gesù che è l’invitato. Neanche Gesù la chiamerà “madre”. Egli le si rivolge dicendole: “che c’è fra me e te, donna?” Nell’evangelo di Giovanni ci sono tre personaggi femminili ai quali Gesù si rivolge con l’appellativo “donna”. Sono le spose di Dio, le spose dell’alleanza. La prima è la madre, che rappresenta l’Israele sempre fedele all’antica alleanza, quell’ Israele che ancora conserva un rapporto d’amore con Dio. La seconda è la Samaritana, che rappresenta l’Israele adultero che Gesù riconquista con l’offerta di un amore ancora più grande, la terza, infine, sarà Maria di Magdala che rappresenta la sposa della nuova comunità.
La frase che Gesù rivolge alla madre allude al vincolo d’origine che esiste tra loro, ma la “madre” non pretende d’avere diritti su Gesù. Essa rappresenta l’Israele che è rimasto fedele all’alleanza, e che soffre per la situazione del popolo rimasto senza amore. La “madre” appartiene alle nozze, ma riconosce in Gesù il messia che deve salvare Israele. Gesù non appartiene all’antica alleanza, egli entra nelle antiche nozze, non in qualità di sposo, ma come invitato, è soltanto ospite insieme ai discepoli; “la madre” invece vive all’interno di essa. Con l’espressione “che c’è fra me e te, donna?”, Gesù intende negare che la sua missione sia quella di rivitalizzare l’antica alleanza. Pronunciando “Donna,“  utilizzato per una donna sposata o promessa sposa, e non “madre”, Gesù mostra la sua indipendenza; se è nato in ambiente giudaico, non per questo il suo modo di agire s’ispirerà a tale ambiente. Gesù fa comprendere che l’antica alleanza è decaduta, e che la sua opera non si appoggerà sulle antiche istituzioni, ma sarà una novità radicale; l’antica alleanza fondata sulla Legge non sarà integrata nella nuova.
Col riferimento alla “sua ora“, nella seconda parte della risposta di Gesù, egli annuncia poi la croce, dove a tutti sarà offerto lo Spirito. L’ora dell’alleanza di Gesù sarà quando effonderà il suo sangue sulla croce.
La “madre,” figura dell’Israele fedele, capisce allora che l’antico patto è decaduto e che Gesù sta per inaugurare quello nuovo. La “madre”, simbolo dell’Israele fedele all’impegno descritto nel libro dell’Esodo, comprende che la stessa professione deve essere fatta al messia che sta per inaugurare la nuova alleanza; per questo invita i servi a collaborare con Gesù, “servi” che, definiti da Giovanni col termine greco “diacono,” non sono tali per condizione sociale, ma perché liberamente e per amore servono gli altri. I servi eseguono le richieste insolite di Gesù, senza porsi tanti problemi. Saranno loro a sperimentare il passaggio dell’acqua in vino; diventano portatori dell’amore di Dio perché hanno aderito a Gesù. Questi compie il suo primo “miracolo” per mezzo di sei grosse giare di pietra che, specifica il testo, i Giudei, (termine col quale l’evangelista designa sempre le autorità religiose d’Israele), avevano disposto per la purificazione. Una religione dove ci sono solo riti di purificazione, è triste come un matrimonio senza vino. Come non vi era vino alla festa, così non vi era acqua per la purificazione. Le due cose messe insieme, indicano che il disegno dell’Antico Testamento sta terminando. Le giare non contengono acqua, e di fatto, dovranno essere riempite dai servi. Le prescrizioni della legge sulla purificazione erano soltanto apparenti, vuote come le giare, e quindi inutili e inefficaci. La purificazione, che indica lo sforzo dell’uomo per ingraziarsi Dio, creava con lui una relazione difficile e fragile, poiché dominata dai riti. In questo sistema religioso, l’uomo non si sentiva unito al Signore da un vincolo d’amore, ma dalla paura dei suoi castighi. Le giare, pesantissime, sono di “pietra” come le tavole della Legge; essendo vuote, le giare costituiscono una realtà pesante, ingombrante. In esse l’evangelista rappresenta la legge di Mosè, codice dell’antica alleanza. Un rapporto con Dio basato sull’osservanza della legge faceva sentire il popolo sempre indegno, sempre in colpa, e quando ci si sente sempre in colpa, non si può sperimentare l’amore di Dio. Per questo le giare saranno, per ordine di Gesù, riempite fino all’orlo; la venuta di Gesù già indica una pienezza che ricomincia. Gesù indica che lui sta per offrire la vera e definitiva purificazione, che non dipenderà mai da nessuna Legge; le giare non conterranno mai il vino che egli offre, simbolo dello Spirito che Gesù effonderà. L’acqua si muterà in vino al di fuori di esse. La Legge si poneva tra l’uomo e Dio, d’ora in poi non vi saranno intermediari; il vino, che è l’amore, stabilirà una relazione personale e immediata.
Subito dopo Gesù ordina ai servi di attingere acqua dalle giare e di portarne al “maestro di tavola”, ossia al responsabile dell’organizzazione della festa. Nella sua figura Giovanni rappresenta i capi religiosi sordi e insensibili ai bisogni del popolo. Per loro non c’è nulla di anomalo nel fatto che Dio si sia allontanato dal popolo a causa della legge che loro hanno deformato; che tra Dio e il popolo non vi sia amore, a loro non interessa assolutamente niente.
Il maestro, che non conosceva la provenienza del vino, non riconosce il dono del messia. Il “maestro di tavola”, abituato a un sistema di dare - avere con Dio, non capisce e non accoglie un regalo gratuito. La sua figura è contrapposta a quella della “madre di Gesù”; mentre quest’ultima si è accorta della mancanza del vino, il “maestro di tavola”, non solo non se n’è reso conto, ma protesta per l’ordine con il quale i vini sono serviti: secondo lui il primo deve essere il migliore. Il “maestro di tavola” è l’unico che emerge dalla massa, rappresenta il “buon senso” che va in confusione di fronte alla novità dell’evento, l’ottusità dei rappresentanti dell’istituzione religiosa. Per loro è incomprensibile che il buono, il bello, il meglio debba ancora avvenire. Nell’istituzione religiosa si vede il nuovo sempre con sospetto e diffidenza, e, spesso, è ostacolato. Per essa il meglio appartiene al passato, e ogni novità deve essere integrata nell’antico.
L’evangelista conclude il brano precisando che quello compiuto da Gesù alle nozze di Cana non fu un miracolo, ma un segno, il primo segno col quale Gesù manifestò la sua gloria, annunciando la nuova alleanza dell’amore da viversi nell’ebbrezza dello Spirito, così come il vino dà l’ebbrezza. L’evangelo, il lieto annuncio di Gesù, è un invito a nozze: soltanto un dialogo d’amore tra noi e il Padre può far scaturire il vino della gioia che spesso ci viene a mancare.

Violairis 13 gen 2012 - www.chiesavaldesetrapani.com