Roberto Tumbarello, marsalese, torna in città, sia pure per pochi giorni, una o due volte l'anno. Stavolta é tornato per la presentazione del suo ultimo libro, "Si salvi chi può", Edizioni Radici, una serie di ricordi, aneddoti, considerazioni sull'importanza della comunicazione, quando c'é e quando dovrebbe esserci, e se ne sente la mancanza.
Dopo una carriera , ormai lunga mezzo secolo, di giornalista, inviato, vaticanista, quirinalista, direttore di giornali, è da qualche anno responsabile del Servizio Stampa del Consiglio d'Europa in Italia. A San Pietro, dove ha presentato venerdì 30 novembre il suo libro, avrebbe voluto vedere più persone, soprattutto vecchi conoscenti. Vai a spiegargli che a Marsala un centinaio di persone, come ci sono state, alla presentazione di un libro sono tante! Quando lui é partito nel 1964, in città non c'era nemmeno una libreria.
Davanti al piatto di cuscus da Saro a San Leonardo, mi racconta di quando, inviato speciale, aveva libero accesso alla Corte del Principato di Monaco - e ce l'ha ancora - o alla Clarence House al tempo della Principessa Diana. In fondo gli interessa poco se sono mancati alcuni alla presentazione del libro. Lo ricompensa ampiamente questo piatto di cuscus accompagnato da un bicchiere di Grillo. Torna anche per questo con piacere a Marsala.
Avevi una laurea in giurisprudenza, potevi restare a Marsala e trovare un lavoro da libero professionista o da dipendente comunale o da impiegato di banca. Perché hai deciso di andare via?
Avevo la passione per il giornalismo. In Sicilia allora non c’era spazio. Non ce n’era neppure a Roma, infatti faticai molto e a lungo per riuscire a inserirmi.
Hai avuto mai dubbi sulla scelta di andare via?
In effetti, lo ritenni quasi un tradimento nei confronti della mia città. Ma sarei vissuto male adattandomi a un’attività per la quale non ero portato: impiego, insegnamento, imprenditoria, matrimonio facoltoso.…. Certo, se i giovani come lei emigrano, la Sicilia non ha alcuna possibilità di progresso, fu la prima cosa che mi disse Umberto di Savoia quando lo incontrai a Cascais.
Come tutti quelli che allora frequentavano il liceo classico, rappresentavi la futura classe dirigente. Siete riusciti a cambiare in meglio il Paese?
L’Italia è certamente peggio di come la trovai venendo al mondo. Non credo, però, di averne la colpa. Io sono stato un Don Chisciotte: ho lottato contro i mulini a vento, contro tutti coloro che hanno venduto identità e dignità. Purtroppo hanno vinto loro. Erano in numero maggiore e alleati del potere.
Puoi raccontare un episodio, tra quelli di cui ti ricordi più frequentemente, di intervistatore di personaggi famosi?
I ricordi dei tanti personaggi che ho conosciuto si accavallano e si scalzano uno con gli altri. Per dimostrare che non ho mai fatto differenza tra personaggi umili e famosi ricordo una situazione singolare e divertente. In Etiopia assieme all’allora ministro delle Finanze Francesco Forte, andammo in giro per i dintorni di Addis Abeba con una jeep alla cui guida c’era il ministro degli Esteri etiope. Costui si rivolgeva al ministro Forte girando la testa a destra. Rischiavamo di andare continuamente fuori strada. Allora gli suggerii di guidare guardando davanti a sé, se no sarei sceso dal veicolo. Per sdrammatizzare la situazione l’On. Forte mi chiese: Non si sente onorato di avere come autista un Ministro degli Esteri? Le è mai capitato prima d’ora? Allora risposi, riflettendo ad alta voce: Due presidenti della repubblica, un re, due primi ministri….No, in effetti, un ministro mai.
Sei andato via che c'era ancora la società divisa in classi e una certa separazione tra gli uomini e le donne nella famiglia e fuori. Ora anche qua molto é cambiato. Ma rispetto alle città del Nord di dimensioni simili alla nostra, pensi che c' é sempre un divario a nostro sfavore? Di dieci, di vent'anni? O abbiamo colmato il divario che c'era una volta?
Il gap purtroppo non è a nostro vantaggio. Ma grazie alla latitudine in cui viviamo, alle tradizioni cui siamo legati, noi possediamo pregi che germogliano solo al Sud e che il tempo non cancellerà mai.
La città ti sembra diventata più brutta, con l'espansione urbanistica che ha avuto?
Tutte le città erano meglio un tempo. Il degrado non risparmia nessuno. Siamo troppi in città. Per di più non c’è lavoro per tutti e ce ne sarà sempre meno. Il governo deve farci tornare da dove veniamo. Le industrie non hanno più bisogno dell’uomo. Ormai ci sono le macchine che costano molto meno e non hanno esigenze sociali. Ci vuole un piano ventennale, un tavolo di studio per ripopolare le campagne, le montagne, le coste…. Anche se ci fosse la ripresa, tra due o tre anni, anche se aumenterà il Pil, le aziende che hanno chiuso non riapriranno più, la disoccupazione continuerà ad aumentare. Per ora mettono a posto i conti, che l’anno prossimo torneranno in rosso. Allora ci imporranno altri sacrifici. E noi li faremo nella speranza che ci sia la ripresa. Nessuno ha capito che bisogna ripartire da dove è cominciato l’inconveniente. Negli anni 50 ci fecero abbandonare la campagna per arruolarci nelle catene di montaggio. Adesso le braccia sono state sostituite dai robot. Bisogna rifare il percorso inverso. Ma nessuno lo ha ancora capito, né i politici né i sindacati.
Oggi noi marsalesi siamo collegati con il resto d'Italia e anche con l'estero dall'Aeroporto di Trapani - Birgi, qua a due passi. Siamo collegati al resto del mondo con Internet e i cellulari. Ti sembra che la città sia ben inserita nel flusso mondiale dei movimenti materiali e spirituali, o la vedi comunque una città di provincia afflitta dal provincialismo?
Il provincialismo non si supera con i mezzi di comunicazione, ma con la cultura. Prima di questa crisi, la provincia come, del resto, tutta l’Italia, ha goduto di 50 anni di benessere. Ma ci è servito solo per acquisire futilità e vizi. Poca cultura, quindi nessuna evoluzione.
Cos'é che ti spinge a tornare a Marsala di tanto in tanto? Il desiderio di rivedere i luoghi o le persone? La città é in parte cambiata rispetto agli anni '60 dell'altro secolo. Tanti vecchi amici e conoscenze non ci sono più. Tornare, per te, é una gioia o una sofferenza?
Se non fosse una grande gioia non ci tornerei. I miei affetti sono a Roma: figli, nipoti… Qui, però, ho gli amici d’infanzia, i ricordi, la tomba dei miei genitori, i gusti, i rumori, gli odori di un tempo.
I marsalesi ti sembrano cambiati nei modi, nel carattere, negli approcci, nelle abitudini?
Mi sembrano uguali a un tempo, solo che rincasano prima per mettersi davanti al televisore, come chiunque in Italia, e non escono la sera. Per cui a partire da una cert’ora la città sembra evacuata per epidemia.
Se dovessi dare un voto a Marsala per la qualità della vita, da 1 a 10 quanto daresti?
I voti non sono il mio forte, anche perché non credo di avere il diritto di giudicare.
D. Cosa pensi che gli amministratori comunali dovrebbero fare per migliorare le condizioni socio - economiche della città?
Anziché mettere nuove e più severe contravvenzioni per fare cassa, dovrebbero andare tutti davanti a Palazzo Chigi a protestare.
Un giovane laureato che voglia farsi avanti, secondo te può sperare oggi di avere qua un brillante futuro, o deve pensare di andare altrove?
Non è più l’epoca delle speranze, né. tanto meno, delle illusioni. Per difendere il loro futuro i giovani debbono partecipare alla vita politica. Ciò non significa che debbano iscriversi a un partito, ma seguire le vicende e controllare che il loro voto finisca nelle mani di chi possa pensare ai loro interessi anziché solo ai propri.
Durante la presentazione del tuo libro, "Si salvi chi può", al Complesso San Pietro il 30 novembre, hai parlato di tua moglie e dei tuoi tre figli. Hai dato l'impressione di vivere in una famiglia unita dagli affetti e di esserne contento. Qual è il segreto, se un segreto c'è, della felicità familiare?
Io ho cercato di instaurare una complicità tra i vari membri della famiglia, soprattutto tra me e mia moglie. Quando c’è un’intesa di base ci si vuole anche più bene.
Come mai hai deciso di scrivere questo libro "Si salvi chi può"? La scrittura di un libro richiede costanza e tempo. Quanto tempo hai impiegato? Come hai mutato il ritmo delle tue giornate?
Io credo di avere avuto dalla società molto più di quanto speravo. Quindi ritengo di dover pensare a chi ha avuto di meno, a chi soffre, a chi non sa reclamare i propri diritti, e soprattutto agli ingenui e sprovveduti che si fanno abbindolare. A tutti costoro ho pensato di dovere aprire gli occhi. L’impegno di un libro richiede soprattutto fede nel progetto.
Alla presentazione del tuo libro, hai detto si essere laico. Ma hai mostrato di sentirti molto attratto da papa Wojtyla, che sarebbe la tua Musa. Ti avvicini alla fede?
Non sono un miscredente. Anzi credo fermamente nell’esistenza di un essere superiore. Il laico ritiene di dover tenere fuori dalle istituzioni le sue convinzioni religiose. Io sono un appassionato lettore del Vangelo, che rimane il più bel libro che sia mai stato scritto. Giovanni Paolo II è stato ed è ancora oggi un personaggio di riferimento, che ho molto stimato, ammirato e amato.
Leonardo Agate