Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
24/01/2013 19:38:27

"Una Rivoluzione Civile per la Sicilia"

Il dibattito sulla Sicilia è sempre aperto, nella già drammatica situazione politica italiana e, vista la crisi del debito europea, i problemi locali diventano evidentemente di interesse internazionale. La discussione sulla Sicilia non fa che richiamare l’attenzione sulle sfide che il prossimo nuovo Governo si troverà ad affrontare.

La Sicilia è sempre stata un caso particolare, anche prima della crisi. Una delle poche regioni autonome italiane, detiene il controllo quasi totale delle entrate erariali che genera, a quanto pare per finanziare i propri sistemi sanitari e d’istruzione. In cambio, il governo nazionale invia soldi alla Sicilia come forma di credito a fronte delle spese relative ai servizi forniti dal governo centrale in altre regioni. La Sicilia è uno stato dentro uno stato e i politici siciliani hanno usato questa autonomia non come strumento di crescita, ma come un modo per fare ciò che vogliono.
Vera piaga è la disoccupazione, che in Sicilia ha raggiunto il 19,5%, il doppio della media nazionale, dove il 38,8% dei giovani non ha un lavoro ed abbandona la propria terra.
Lo sviluppo del settore turistico, che può dare un contributo anche notevole alla crescita dell'intera economia, appare qui sottodimensionato rispetto a quello potenzialmente sostenibile dalle risorse turistiche originarie dell'isola; il turismo più rilevante è il culturale, ma lo stato dei Beni Culturali versa in condizioni di abbandono e i precari del settore non si contano.
Altra problematica seria della Sicilia, è quella infrastrutturale dei trasporti: non si sfata ancora il mito che Cristo si sia fermato ad Eboli e, allo stato di cose, non vi è stata nessuna presa di posizione, da parte di tutta la classe politica regionale e nazionale, sulla scomparsa dai contratti di programma dei 1970 milioni di euro, tra l’altro interamente finanziati dal 2005 e inseriti dal Governo Nazionale nel programma delle opere strategiche.
Ma il mostro sacro della Sicilia è certamente la Sanità. Sanità in Sicilia è da anni un binomio che si completa con politica, un binomio indissolubile e inapprensibile, che non smetterà di coesistere sinché le redini e le decisioni saranno confuse tra privato e pubblico, sinché le azienda sanitarie non saranno altro che un ricco e appetibile contenitore di voti a cui far riferimento. Buona parte del dibattito siciliano sul rientro dal deficit e sull’organizzazione del sistema sanitario regionale, sembra concentrarsi su interventi di razionalizzazione della spesa e di riorganizzazione dell’offerta. Il futuro del welfare siciliano si gioca quindi in uno spazio ristretto in cui occorre sviluppare circoli virtuosi, con un migliore funzionamento del sistema sanitario pubblico in grado, in prospettiva, di fare da volano anche per un rilancio economico, in un’ottica di welfare come investimento sociale e meccanismo di sviluppo.
E poi l'acqua. E la formazione. E l'edilizia abitativa e scolastica. E l'agricoltura.
Molte e diverse sono le problematiche siciliane, ma tutte legate da un filo conduttore che, poi, è il problema più grande di tutti, quello della Legalità.
I problemi finanziari dell’Italia – e della Sicilia in particolare – non sono solo il frutto delle misure di austerity, ma della spesa pubblica sconsiderata del passato, risultato di un sistema radicato che si basa su posti di lavoro in cambio di voti, che ha contribuito a mantenere in carica i governi italiani garantendo il lavoro ai siciliani. Oggi, l’amministrazione regionale della Sicilia conta 1 800 impiegati e 26 000 forestali, per fare un esempio. Per non parlare delle compagini di articolisti, precari in perenne scadenza. E' del tutto evidente che questo sistema clientelare si è sviluppato anche con la complicità di uno Stato che è sempre stato il principale datore di lavoro.
Tutte queste problematiche, di cui speriamo si faccia carico il neo eletto governo regionale, dovranno essere prese in carico e portate all'attenzione del prossimo governo nazionale. E sarebbe utile, per noi siciliani, interrogarci su chi potrebbe al meglio rappresentare le istanze diversificate territorialmente, che tipo di analisi e di soluzioni le forze politiche che esprimeranno deputati e senatori - che grazie al porcellum erediteremo e non sceglieremo direttamente badate bene! - proporranno e metteranno in essere.
Ma prima di tutto, occorre che noi siciliani prendiamo atto che non possiamo farci ancora e di nuovo ricattare su questi temi, che non possiamo scambiare un diritto con un voto.
Ma più di tutto, occorre oggi prendere atto che tutti i malcostumi della politica, a qualsiasi livello, sono il risultato di una mancanza di cultura sociale e politica da parte del cittadino, dell'incapacità di prendere atto che i sistemi sono in continuo mutamento, che se la storia è un eterno ritorno essa può essere cambiata, i sistemi scardinati, con la Rivoluzione: quelle rivoluzioni che hanno cambiato il volto imperialista dell'Europa, che hanno destituito i regimi e le monarchie, che hanno sconfitto l'Apartheid, che hanno dato il voto alle donne. Che hanno fatto dell'Italia una Repubblica fondata su una Costituzione, che è una dichiarazione d'amore.
Occorre oggi prendere consapevolezza però che, dopo il 1945, tutto quello che abbiamo faticosamente costruito e i modelli in cui abbiamo creduto sono caduti rovinosamente: ma questo non deve atterrirci, ma piuttosto suscitare un moto d'orgoglio del nostro essere Italiani, di essere capaci di essere ancora “partigiani”, di poter stare dalla parte giusta, dalla parte di chi lotta per un diritto: sia quello di un lavoro dignitoso, una professione, di una genitorialità consapevole, di una buona morte. Dalla parte di chi non può permettersi di assecondare le banche europee e le politiche di fiscal compact. Dalla parte di chi non può permettersi mediazioni sul proprio futuro. Dalla parte di chi, in guerre che non ci appartengono. Dalla parte di chi, non italiano, in Italia ha cercato una speranza ed ha invece trovato delle carceri che si chiamano CIE e CARA. Dalla parte di chi, in questa buttanissima Sicilia, in questa buttanissima Italia, vuole vivere e morire, vuole essere donna e non quota rosa. E questi diritti li riconquistiamo con una Rivoluzione Civile, che riporti l'uomo e la Legalità al centro della politica, che ritorni a normalizzare ciò che oggi non lo è. Una Rivoluzione Civile che, prima di tutto, sia Culturale: abituare gli italiani, i siciliani, a pensare che ciò che oggi ci sembra lontano in realtà è normale. Che ciò che ci spacciano per un favore è un diritto. Che il Lavoro è rivoluzionario, la Sanità, la Scuola, l'Acqua, sono rivoluzionari. L'Arte e la Politica sono rivoluzione. La Legalità è Rivoluzione. Un amico, un “politico”, dice che al di là della globalizzazione, esiste un non-luogo rivoluzionario, dove la Rivoluzione Culturale può prendere forma ed è lo spazio del cambiamento. Ecco, io penso che quel luogo sia quello della Legalità. Che fa rima con Libertà"

Valentina Colli
PRC - Circolo Interterritoriale "A. Gramsci"