Davanti al gip di Palermo Piergiorgio Morosini, in trasferta nell'aula bunker del carcere di Rebibbia, a Roma, l'ex capo della polizia Gianni De Gennaro, oggi sottosegretario con delega alla Sicurezza, è stato invitato a discutere di uno dei capisaldi della ricostruzione che i magistrati siciliani fanno della presunta trattativa tra vertici delle istituzioni e Cosa Nostra, ovvero il ruolo di Calogero Mannino. All'inizi del 1990, il politico democristiano era ministro dell'Agricoltura. Nel '91 sarebbe diventato ministro per gli Interventi straordinari nel Mezzogiorno. Il suo nome sarebbe comparso nella lista degli obiettivi dei boss mafiosi qualora non si fosse trovata un'intesa sul cosidetto «papello» consegnato agli ufficiali dei Ros: «Non ricordo pericoli di attentati a Mannino», ha risposto De Gennaro. Secondo l'accusa, Mannino si sarebbe attivato per la trattativa nel timore di essere ucciso dalla mafia.
L'OMICIDIO LIMA - A proposito del delitto di Salvo Lima, il politico siciliano assassinato a Palermo il 12 marzo 1992, De Gennaro ha aggiunto: «Colleghiamo l'omicidio Lima alla strage di Capaci per una logica di terrorismo mafioso». L'omicidio dell'eurodeputato della Dc «fu grave, però non lo collegai subito», ha spiegato De Gennaro, che ha detto di non ricordare se dopo questo delitto e la strage di Capaci abbia «avvertito il pericolo di altri attentati a uomini politici».
CONTRARIO AL 41 BIS PIU' LEGGERO - De Gennaro ha risposto anche sull'ammorbidimento del regime del carcere duro per i mafiosi. «Il 41 bis era un regime di sofferenza e incentivava le collaborazioni», ha aggiunto l'allora capo della Dia, e ha sostenuto che l'allora capo della polizia, Parisi, non gli parlò mai del 41 bis.