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28/04/2013 04:06:39

Viola: "Le indagini su Don Michele non sono ancora chiuse"

Lo dice il Procuratore Capo di Trapani, Marcello Viola, che aggiunge: "Abbiamo in mente di chiarire alcune circostanze dell'omicidio che ancora non sono state ben spiegate da Antonino Incandela". La confessione di Incandela, reo confesso dell'omicidio di Padre Di Stefano non risolve dunque totalmente il giallo. Nelle sue versioni ci sono alcune contraddizioni. Sia chiaro, non sono emersi fino ad ora elementi tali da far pensare al altre persone coinvolte nell'omicidio dell'anziano sacerdote - ucciso in maniera brutale a colpi di bastonate nel sonno - ma le indagini, comunque, restano aperte. Si è autoaccusato dell'omicidio, dopo essere stato messo alle strette, Antonino Incandela, 33 anni, operaio disoccupato molto conosciuto nelle frazioni di Fulgatore ed Ummari per alcuni suoi piccoli precedenti penali. Incandela era stato anche alunno a scuola di Don Michele, che lo conosceva benissimo, tanto da fargli spesso delle "ramanzine" per invitarlo a cambiare stile di vita e a non fare disperare i genitori. "Ho creduto che nelle omelie lui facesse riferimento a me - ha detto Incandela agli agenti - e non lo sopportavo. Sono entrato nella canonica, di notte, per dargli una lezione. Non credevo di averlo ucciso". Incandela è stato incastrato dal bancomat che ha rubato per fingere una rapina a casa di Don Michele. Bancomat con il quale ha fatto un prelievo. E dalle immagini delle videocamere si è poi risaliti, per vie traverse, a lui. Fatto un primo prelievo a Trapani, Incandela per depistare gli investigatori aveva fatto un secondo prelievo a Marsala. Tra l'altro si è appreso che, al momento dell'agguato mortale, Incandela indossava dei guanti, ed anche un indumento - forse un passamontagna - per coprire il volto. Insomma non è tanto sprovveduto come si vuole fare credere. 

Una prima falla del suo racconto riguarda il movente: "Il prete nelle omelie sembrava fare spesso riferimento a me" ha detto Incandela. Riteneva cioè di identificarsi nei numerosi appelli che Don Michele faceva ai giovani della comunità di Ummari e di Fulgatore per cercare un lavoro, vivere onestamente, formare una famiglia.  Il fatto è che gi abituali frequentatori della piccola chiesa di Ummari dove Don Michele celebrava messa non si ricordano affatto della presenza di Incandela. Non era un frequentatore della chiesa. E allora perchè tanto "fastidio"? Gli sarà stato riferito? E da chi?

Anche Giacomo Incandela, padre dell'omicida è certo: "Mio figlio non voleva ammazzare Don Michele".  "Non ti voleva ammazzare", ha detto, in lacrime, inginocchiato dinanzi alla fotografia di padre Michele Di Stefano, durante la messa, domenica scorsa ad Ummari. Giacomo Incandela e la moglie, Rosa, hanno partecipato infatti domenica scorsa alla celebrazione nella chiesa di Ummari. La piccola comunità ha manifestato ai due coniugi grande affetto perchè Giacomo Incandela e la moglie sono stimati e rispettati. Liborio Palmeri, vicario della Diocesi che ha invitato i parrocchiani a stare accanto ai familiari di Antonio Incandela. «Il pastore della nostra anima - ha detto il sacerdote - è Gesù, che sta sempre a fianco del suo gregge. A volte qualche pecora si smarrisce e si butta nel burrone. Il Signore allora lascia quelle che sono al sicuro e va a cercarla. Il Signore non è venuto per i giusti e per i santi ma per i peccatori. Chi sente perfetto, giusto è bene che stia fuori dalla comunità che cerca il bene ma che fa anche il male».  Don Palmeri ha voluto poi parlare alla comunità: «Stiamo vivendo - ha detto - una situazione triste, drammatica. Ma dobbiamo ricordarci chi è il buon Pastore, cercare la sua voce che è stata registrata dentro di noi al momento del battesimo. Può capitare di andare dietro a pastori che non sono tali e di essere frastornati da tante voci. Ma prima di ascoltare la parola umana dobbiamo sentire quella del Signore. Se qualche pecora arriva a colpire il pastore dobbiamo sempre sapere che il buon Pastore è misericordioso».