L’interrogativo è d’obbligo. E comunque lo stanno verificando i Commissari straordinari del Comune. Sotto la supervisione dell’ingegnere Vincenzo Ortega, un sovraordinato nominato dal ministero e operante presso l’Ufficio Tecnico da alcuni mesi, si vuole capire come e perché di oltre cinquecento (520, per la precisione) progetti finanziati dalla Commissione ex art. 5 non si hanno più notizie. Si tratta dei fabbricati ricadenti nella zona urbanistica defininita fascia “A”. Quindi non solo di quelli che si trovano all’interno del cosiddetto cerchio “magico” (Via Amendola-Francesco Crispi). Da sempre erroneamente indicato il settore del vero centro storico. La fascia “A” è infatti è ben più estesa. Comprende anche i quartieri della Misericordia, del Rabato, San F.sco di Paola. Si tratta di fabbricati che, pur avendo beneficiato del primo anticipo, pari al 50% circa dell’intero importo avente diritto, non si sa quale destino abbiano avuto nel corso di questi anni. Nel senso che agli atti dell’Ufficio i progetti non risultano definiti. Non c’è una chiusura dei lavori, in buona sostanza. Burocraticamente sono considerate pratiche aperte. Una stranezza, se si pensa che l’apertura di un numero elevato di esse risale ad alcuni decenni. Da qualche settimana il Comune ha inviate le prime diffide ai proprietari degli immobili. Dovranno chiarire, entro il termine di venti giorni, lo stato attuale del fabbricato. Sessantacinque riguardano gli edifici ricadenti all’interno dell’anello, di cui abbiamo sopra accennato, e novanta all’esterno. E così di seguito, nei prossimi giorni. Del resto unduro atto di accusa lo lanciò l’ex sindaco Vittorio Sgarbi nel giugno del 2009. Quando in un infuocato comunicato stampa disse di avere accertato personalmente che “nel pieno centro storico sono stati abbattuti edifici integri, l’ultimo in via Amendola, in nessun modo interessati da lesioni del terremoto del 1968. Ho perciò deciso di sospendere tutti i finanziamenti attribuiti dalla commissione “ex articolo 5″, erogati in modo fraudolento con la complicità di tecnici che hanno fornito perizie giurate totalmente estranee allo stato di fatto, attribuendo agli edifici condizioni di pericolo inesistenti. Ravviso nella complicità tra tecnici, politici e imprenditori a danno dello Stato una vera e propria associazione a delinquere che ha sostanzialmente attivato percorsi mafiosi allo stesso modo di quanto è avvenuto per i parchi eolici di cui sembra che solo la Sicilia abbia straordinaria necessità.” Assicurando che la documentazione raccolta per il centro storico, “assolutamente inequivocabile”, da lui così definita, l’avrebbe diffusa in una conferenza stampa, in occasione della presentazione dei risultati della ricostruzione a Salemi, in un convegno che si sarebbe tenuto in quello stesso mese a L’Aquila. Non sappiamo il decorso degli eventi. Ricordiamo solo che di lì a qualche mese venne lanciata dall’Amministrazione l’estemporaneo quanto utopistico progetto battezzato “Case ad un euro”, la cui paternità fu equamente attribuita, di volta in volta, a ciascun componente del trio Sgarbi-Giammarinaro-Toscani. Progetto destinato a fallire, però. Perché altri sarebbero dovuti esser gli adempimenti propedeutici alla sua esecutività. Quali, ad esempio, una seria e attendibile ricognizione del patrimonio catastale comunale, finalizzata all’individuazione delle unità immobiliari di un certo interesse. Un modo per consentire all’amministrazione una programmazione concreta. Cosa che solo oggi si sta facendo. Se ne stanno occupando infatti il vicesegretario Nino Palermo e Gino Caradonna, supportati dall’ufficio tecnico. Ne sta venendo fuori un quadro più chiaro della situazione. Si apprende così che di numerosi immobili acquisiti o da acquisire rimane solo uno spazio vuoto. Abbiamo filiere di immobili simili ad una dentatura cariata e carente. Le strutture non esistono più. I “denti” sono stati estirpati, talora in malo modo. Il prefetto Leopoldo Falco è stato abbastanza chiaro: “Gli immobili carini ci sono” – ha precisato- ma sono sparsi e riguardano solo poche unità. Li vogliamo trovare e affidarli, in parte, in gestione alle associazioni locali, ed il resto venderli. In questo contesto s’inserisce il progetto “Case a un euro”. Il Comune non ha centinaia di immobili da vendere.” Abbiamo chiesto che fine avessero fatto le numerose richieste di acquisto pervenute al Comune. Si ricorderà la grancassa propagandistica dell’ufficio stampa dell’epoca. Periodicamente diffondeva numeri iperbolici. Si disse che ci fossero addirittura 10mila istanze provenienti da ogni parte del pianeta e avanzate dalle personalità più improbabili. Venne chiamato in causa persino Peppuccio Tornatore, il quale, da “sperto” siciliano declinò garbatamente l’invito. Clamorosa poi la vicenda dell’immobile “donato” a donna Moratti, rivelatasi come appartenente ad un privato. Lapidaria la risposta di Falco: “Non ci sono migliaia di richieste pervenute all’Ente per l’acquisto di case nel centro storico”. Si ebbe solo un fragoroso impatto mediatico ma di maestranze al lavoro nemmeno l’ombra. Il centro storico non solo non si è ripopolato è rinato, ma oggi più che mai la priorità è quella di mettere in sicurezza alcuni fabbricati che rischiano di mettere in serio pericolo l’incolumità de residenti e dei passanti. Centoventimila euro la spesa prevista. Ma l’azione che s’intende portare in porto è il recupero di alcuni milioni di euro attraverso la richiesta di restituzione dei contributi da tanto tempo erogati ad alcune ditte e che non avrebbero adempiuto agli obblighi dovuti. Da qui, le diffide inviate. Le risposte cominciano ad arrivare. Si comincia ad avere un visione di una casistica molto differenziata. Si va da titolari che hanno intascato il 50% del contributo come previsto per legge e che non ha dato seguito ai lavori, senza comunicarlo agli uffici. Altre ditte che, dopo l’anticipo, hanno riscosso il primo SAL (stato avanzamento lavori) per poi interrompere il tutto. E ricadere nel silenzio assoluto. Non esiste una motivazione scritta che giustifichi l’inadempienza. Ma, dopo le richieste di chiarimenti da parte del Comune, è affiorato un fenomeno abbastanza inquietante oltre che bizzarro. Dai risvolti sorprendenti e con sviluppi imprevedibili. E’ emerso che in un numero piuttosto elevato di casi, l’assegnatario del provvedimento, dopo avere intascato il primo acconto (che è pari, ricordiamolo, al 50% dell’intero contributo cui aveva diritto) abbia venduto poi il fabbricato per pochissimi euro ad altri. Venendosi così a creare una situazione a dir poco paradossale. Un beneficiario di un contributo che non ha utilizzato per la ricostruzione della casa di cui però non è più proprietario. Mentre l’acquirente non si sa per quali fini ha provveduto ad acquistarla. Una storia dal sapore pirandelliano? O sistemica? E’ certo comunque che sul piano pratico è destinata a generare una lunga serie di contenziosi. Già si profila all’orizzonte l’azione di una lunga schiera di legali pronti a contestare la legittimità dell’iniziativa intrapresa dalla Commissione. E ci sarà più di uno che in questo momento maledirà quell’infuocato luglio del 2008.
Franco Lo Re