Le persone offese, costituitesi parte civile con gli avvocati Sebastiano Genna e Roberta Piccione hanno affermato, con evidente turbamento psicologico, di essere stati rapinati mentre dormivano e di avere subito lesioni gravissime, consistite, per uno di loro nella perdita della vista dell’occhio destro.
Ciò nonostante non hanno avuto alcun timore ad indicare gli autori della rapina negli imputati, Slasi Nebil e Man Mohamed, presenti in aula, difesi rispettivamente dagli avvocati Noto e Gabriele, e sottoposti dal mese di settembre 2012 alla misura cautelare della custodia in carcere.
PIZZO AL POMODORO. Si è concluso con la condanna di tutti e nove gli imputati il processo "Pizzo al pomodoro", che si è tenuto a Trapani dopo l'operazione di polizia che aveva sgominato una banda di taglieggiatori del Rione San Giuliano a Trapani, che aveva messo a dura prova la pazienda dei commercianti locali. Tra le vittime figuravano un ristoratore, il titolare di un'impresa artigiana, alcuni gestori di sale scommesse, un noleggiatore d'autovetture ed un distributore di apparecchiature elettroniche da intrattenimento. Ad ognuno sarebbe stata richiesta la corresponsione mensile di somme di denaro o l'esecuzione gratuita di prestazioni lavorative. Chi opponeva resistenza e si rifiutava di pagare subiva gravi ritorsioni.Tredici anni e quattro mesi sono stati inflitti a Francesco Paolo Cammareri, ritenuto il capo della banda, che però ha sempre respinto ogni accusa. Ha raccontato che, dopo avere deciso di lasciare l'Italia per trasferirsi in Germania, era rimasto senza soldi. Attraverso il fratello, Ignazio, avrebbe tentato di recuperare alcuni crediti e di ottenere dei prestiti da commercianti.Pene inferiori per gli altri otto imputati: Ignazio Cammareri, sette anni e sei mesi di reclusione; Claudio Di Pietra, cinque anni e sei mesi; Michele Scardina, cinque anni; Alberto Cangemi, tre anni e sei mesi; Ivan Randazzo, Giuseppe Benenati e Salvatore Di Pietra, due anni e sei mesi ciascuno; Orazio Pisciotta, un anno ed otto mesi. Accolte le richieste del Pm Anna Trinchillo che aveva chiesto pene varianti tra i 14 anni e i 2 anni ed otto mesi. Alcuni degli imputati sono stati assolti da alcune accuse.
BONGIORNO. Prima svolta nel processo che tenta di fare luce sull'omicidio di Giuseppe Bongiorno, l'anziano di Castellammare trovato morto strangolato, nudo, ai piedi del suo letto. Per il suo omicidio è sotto processo a Trapani uno dei due cittadini romeni sospettati del delitto, Valentin Florian Bucur. Ebbene, secondo la perizia dei medici legali, Bongiorno non morto a seguito dello stangolamento (per rapina, o per gioco erotico, è tutto da definire) ma è morto di infarto: non gli ha retto il cuore.
Si, Bongiorno fu strangolato dai suoi assassini. Ma secondo i dottori Argo e Grillo il processo di asfissia non sarebbe arrivato a compimento perchè Bongiorno sarebbe deceduto prima per un infarto, dovuto al forte stress generato dall'atto sessuale e dalle percosse ricevute subito dopo. I due medici legali, rispondendo a una domanda del pm Franco Belvisi, hanno spiegato che nel caso in cui non fosse stato colto da malore Bongiorno sarebbe deceduto per asfissia. L'azione di strangolamento, hanno riferito i consulenti, lo avrebbe condotto alla morte. Bongiorno era solito frequentare giovani stranieri con cui intratteneva rapporti sessuali a pagamento. Anche la notte in cui fu ucciso consumò un rapporto. Per gli inquirenti dopo l'amplesso sarebbe scoppiata una violenta lite. Bucur e il suo amico avrebbero preteso del denaro. Bongiorno si sarebbe rifiutato di pagare. Bucur - assistito dall'avvocato Cristina Coppola - e il suo complice, l'altro indagato è minorenne e sarà separatamente giudicato, si sono scambiati accuse a vicenda tentando di addossare l'uno sull'altro la responsabilità del delitto
IMMIGRAZIONE CLANDESTINA. Arrestato la notte del 31 dicembre 2012 con l'accusa di essere uno degli scafisti che nei pressi di Capo Granitola sbarcarono 40di immigrati nordafricani, uno dei quali morì annegato, è stato scarcerato per decisione del Tribunale della libertà di Palermo. A tornare in libertà è il 32ene tunisino Somii Kamais, che quella notte era sul natante a bordo del quale gli scafisti si stavano allontanando dalla costa. Kamais si è difeso affermando di essere un passeggero che dopo essere finito in mare, per non annegare risalì sull'imbarcazione.