E' questa la frase del Sindaco, pronunciata in una pubblica assemblea, che è oggetto del processo. Parte lesa è Francesco Salvatore Borghi, suo concittadino. Borghi, assistito dall'avvocato Nino Sugamele, si è costituito parte civile nel procedimento. Dopo la costituzione delle parti l'udienza è stata aggiornata al 29 novembre prossimo dinanzi al giudice monocratico del Tribunale di Trapani. Tranchida è difeso dall'avvocato Giuseppe Rando del foro di Roma. I fatti risalgono al 25 settembre del 2009. In un'assemblea, presenti circa 50 persone, il sindaco di Erice avrebbe affermato che Borghi «per 35 anni ha indossato la divisa e magari qui se lo ricordano tutti, compresi i commercianti di via Madonna di Fatima...». Per l'avvocato Sugamele, le parole pronunciate da Tranchida hanno prodotto nei confronti del suo assistito «una sensibile diminuzione della stima e della reputazione di cui godeva nell'ambito sociale in cui vive, mettendo seriamente in dubbio la sua correttezza, la sua rettitudine e le sue virtù morali e professionali»Nell'udienza del 29 novembre saranno sentiti alcuni testi dell'accusa e tra questi figurano Vito Callotta, Gaspare Lipari ed Ignazio Grimaldi, avversario di Tranchida alle ultime consultazioni amministrative di Erice.
IMART. Nuova udienza del processo Imart a Marsala, che cerca di fare luce su un presunto caso di estorsioni a dei vip per non fare comparire il loro nome nel memoriale di una pornostar, Lea di Leo. Nell'ultima udienza ha parlato il luogotenente Antonio Lubrano, degli uffici di polizia giudiziaria della Guardia di Finanza, che ha curato le indagini, e ha parlato del controllo dei conti correnti bancari e delle intercettazioni. Davanti al giudice Roberto Riggio alla sbarra, per tentata estorsione, sono il 37enne marsalese Giuseppe Aleci, presidente della «Imart Edizioni», e il 28enne bagherese Gaspare Richichi, direttore editoriale. I due imputati sono accusati di aver tentato di estorcere denaro ad alcuni personaggi famosi del mondo dello sport e dello spettacolo che sarebbero stati clienti o conoscenti della sexystar trevigiana Lea Di Leo (vero nome: Sonia Faccio). A costoro sarebbero state chieste somme (da 10 a 40 mila euro) per depennare i loro nomi dal libro autobiografico della Di Leo che la Imart avrebbe dovuto stampare. Lubrano, ricostruendo l'indagine, ha detto di non aver riscontrato bonifici bancari dei personaggi contattati. I tentativi di estorsioni sono, dunque, rimasti tali. Il sottufficiale delle Fiamme Gialle ha, poi, parlato delle intercettazioni di telefonate fatte al Senato per contattare l'ex vice ministro dell'Economia Mario Baldassari. A far esplodere il caso, mettendo in moto la Procura marsalese, fu un servizio mandato in onda, il 16 marzo 2011, dal programma televisivo «Le Iene». Tra le vittime dei tentativi di estorsione, anche l'attore Matteo Branciamore, l'unico a costituirsi parte civile.
RAPINA. Accusato di rapina in una abitazione (vittima una donna), il 42enne pregiudicato Francesco Giubaldo cerca di difendersi sostenendo che il giorno del fatto (13 gennaio scorso) non è uscito di casa. E in Tribunale, per confermare la tesi, è stata chiamata a testimoniare la sorella dell'imputato (Francesca Giubaldo). La donna, però, ha detto che non era nello stesso appartamento del fratello, ma in quello attiguo della madre. Pur continuando a dire che il fratello non è uscito di casa («stava male e l'auto l'ho vista sempre parcheggiata in strada») ha dovuto ammettere che sarebbe potuto anche uscire a piedi.
STALKING. Finisce davanti alla Corte Costituzionale un processo per stalking a Trapani. Su richiesta dell'avvocato Antonino Vallone, che difendeva un imputato di stalking, il giudice monocratico Patrizia Satariano ha emesso un'ordinanza con cui sospende il giudizio in corso «per pregiudizialità costituzionale» e dispone «l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale». Il reato di stalking è entrato in vigore nel 2009 e finora non era mai stata sollevata la questione dinanzi alla Corte Costituzionale.
CARTE CLONATE. Ha venduto merce per 62mila euro a persone che lo hanno pagato con carte di credito clonate o rubate all'estero. Felice Tumbarello, titolare di un'azienda che realizza infissi: «Casa Bella» di contrada Cuore di Gesù, è stato oggetto di un provvedimento di sequestro di beni (tra cui quote sociali e una polizza assicurativa) in un'indagine coordinata dal Pm D'Alessandro e condotta dalla Guardia di Finanza.La merce è stata venduta in due blocchi: uno di 45mila euro, l'altro di 22mila. L'imprenditore sostiene di avere venduto gli infissi a «sconosciuti» che si sono presentati in negozio con diverse carte di credito: Visa, Cartasì e altre americane. Per l'accusa erano carte clonate o rubate. Nel primo caso quelle originali sono state rilasciate in Norvegia, Svezia, Inghilterra, Germania, Turchia e Qatar. Altre negli Usa (Ohio, Florida e Illinois). Il pagamento sarebbe avvenuto attraverso una trentina passaggi, tra quelli andati a buon fine e quelli negati. Il suo legale, l'avv. Stefano Pellegrino, ha presentato istanza di dissequestro. «Il mio cliente - dice il difensore - non aveva modo di immaginare che si trattasse di denaro illecito».
A. P.