La proposta russa di mettere sotto controllo gli arsenali chimici siriani, potrebbe aprire la via alla rinuncia alla rappresaglia violenta, sempre che Damasco accettasse realmente il controllo internazionale. Altrimenti, la proposta diventerebbe, in sede di consiglio di sicurezza dell'ONU, con richiamo al capitolo VII, un'autorizzazione all'uso della forza. Ma stavolta con il consenso del consiglio di sicurezza. Con tutti i crismi della legalità, quindi.
La Russia sarebbe felice se Assad acconsentisse veramente, e non solo per prendere tempo. la Russia é il maggiore fornitore di armi e tecnologia alla Siria. E' alleato, si può dire. Lo sbalestramento di Assad, per mezzo di un attacco occidentale, sarebbe per lei una perdita economica e una perdita di prestigio internazionale. Gli USA, che riuscissero ad abbattere Assad, sarebbero considerati nell'opinione pubblica internazionale il paese dal quale alla fine tutto dipende, la pace e la guerra, il benessere e il disastro. Le mire neoimperialiste di Putin andrebbero a carte quarantotto.
Obama ha fatto sulla Siria, nell'agosto 2012, una dichiarazione di cui adesso ne piange le conseguenze. Disse allora che se in Siria fossero state usate armi chimiche, sarebbe come superare la linea rossa che avrebbe determinato la reazione militare.
Alla periferia di Damasco é avvenuto il 21 agosto scorso quello che si paventava da un anno. E' stato usato il gas sarin. Centinaia sono stati i morti, fra cui molti bimbi. Secondo fonti statunitensi i morti sarebbero stati 1.400. Assad nega che sia stato lui ad usare il gas. I russi hanno chiesto prove certe. Gli ispettori dell'ONU devono ancora pronunciarsi.
L'opinione pubblica americana non é favorevole all'intervento militare, anche se non del tutto contraria. Troppi figli sono morti sui campi di battaglia, in Europa, Africa e Asia, dopo la seconda guerra mondiale, per gioire di continuare a fare lo sceriffo del mondo. Gli statunitensi hanno pure una certa debolezza economica, dopo la bolla finanziaria che fece fallire le banche, e costrinse il governo ad intervenire a sostegno dell'economia, con somme ingenti.
Obama, all'emergere della crisi siriana, ha fatto la voce grossa, da leone. Adesso sembra prendere l'aspetto della volpe. Non può fare diversamente, essendo sempre meno praticabile l'azione militare man mano che passano i giorni, per le prese di posizione di personaggi di rilievo. Il papa, che ha indetto una giornata di preghiera per la pace il 7 settembre scorso, movimenta un'opinione internazionale che contrasta con il primitivo atteggiamento del presidente americano. E tutti si chiedono che ci sta a fare l'ONU se le decisioni di natura internazionale possano essere prese unilateralmente da una nazione, sia pure la più potente.