Deporranno oppure no i presidenti della Repubblica Giorgio Napolitano e del Senato Pietro Grasso al processo sulla presunta trattativa Stato-mafia? Sull'istanza presentata dalla pubblica accusa i giudici della 2ª sezione della Corte di Assise di Palermo decideranno alla prossima udienza, fissata per il 17 ottobre. E nello stesso dispositivo indicheranno anche quali richieste probatorie avanzate dai pm Vittorio Teresi, Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene e dai difensori dei dieci imputati saranno ammesse al processo.
L'ultima udienza nell'aula bunker dell'Ucciardone, è iniziata con la replica dell'avvocato Giuseppe Di Peri, legale dell'ex senatore Marcello Dell'Utri - secondo il quale le 334 revoche di 41 bis decise dall'allora Guardasigilli Giovanni Conso, non sarebbero frutto delle trattativa ma solo l'adeguamento dei Tribunali alle indicazioni della Corte Costituzionale. L'avvocato Massimo Krogh, legale dell'ex ministro Nicola Mancino, imputato di falsa testimonianza, ha detto no all'acquisizione delle intercettazioni tra l'ex politico e il defunto consigliere giuridico del Quirinale Loris D'Ambrosio. Per il legale le intercettazioni provano solo che «Mancino intendeva, tramite D'Ambrosio, rivolgersi al capo dello Stato in quanto presidente del Csm per chiedere un coordinamento del lavoro investigativo delle Procure di Firenze, Palermo e Caltanissetta». Le intercettazioni sarebbero dunque irrilevanti.
Contro l'acquisizione di alcuni documenti presentati dal pm si è detto l'avvocato Basilio Milio, difensore degli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, imputati di minaccia a Corpo politico dello Stato. Per l'avvocato Luca Cianferoni, Totò Riina, accusato di minaccia a corpo politico dello Stato, «è totalmente isolato dal ‘93. Ci dicano come e con chi ha trattato o gli si lasci espiare la pena». Di qui la richiesta di acquisire il cosiddetto "papello" e la sentenza di Firenze sulle stragi del ‘93. «Così - ha detto - si capirà che il papello, come è emerso dalle indagini, non l'ha scritto Riina».
PROVENZANO. Il carcere duro può essere revocato a Bernardo Provenzano. Questo il parere della Direzione nazionale antimafia che si allinea con le Procure di Palermo, Firenze e Caltanissetta. Una decisione in contrasto con la linea tenuta finora dalla Dna, che solo qualche mese addietro si era detta contraria alla sospensione del 41 bis sostenendo che il padrino corleonese fosse ancora ai vertici di Cosa nostra.
Il sostituto procuratore della Dna, Gianfranco Donadio, ha chiesto una nuova perizia sullo stato mentale del boss ai giudici del Tribunale di sorveglianza di Roma, che devono decidere se accogliere o meno l'istanza di revoca del 41 bis presentata nei mesi scorsi dagli avvocati Rosalba Di Gregorio, Maria Brucale e Franco Marasà. Ma - e questa è la novità - ha chiesto, sollecitato dai giudici a pronunciarsi sul merito, che sia accolta la richiesta dei difensori. Il Tribunale non si è pronunciato e la decisione è attesa nei prossimi giorni. Potrebbe prevedere nuovi accertamenti peritali oppure entrare nel merito accogliendo o respingendo il ricorso.
A sostegno della loro istanza gli avvocati Di Gregorio e Brucale hanno prodotto agli atti l'ultima perizia redatta dai due esperti nominati dal gip di Palermo, Piergiorgio Morosini, nell'ambito del procedimento giudiziario relativo alla cosiddetta trattativa Stato-mafia in cui Provenzano è indagato. I periti, rispondendo ai quesiti posti dal giudice dell'indagine preliminare, hanno ribadito l'incapacità del boss a partecipare coscientemente al processo che quindi resta sospeso finché non si verificheranno modifiche sostanziali delle sue condizioni mentali.
Il pm Donadio ha chiesto di accertare se l'incapacità del boss è relativa, cioè riguarda solo la possibilità di stare in giudizio, oppure è assoluta e cioè che lo escluda del tutto. In subordine, si è detto favorevole all'accoglimento della richiesta di revoca presentata dai difensori. Appena qualche mese addietro la Dna aveva espresso parere negativo al Guardasigilli - che assegna, con decreto, il 41 bis - sostenendo che Provenzano è ancora capace di mandare messaggi all'esterno e quindi che continua ad essere un soggetto pericoloso, requisito richiesto dalla legge per il mantenimento del carcere duro. La revoca del 41 bis è una delle strade che i legali stanno percorrendo per fare uscire dal carcere il loro assistito. Nei mesi scorsi, infatti, hanno presentato al Tribunale di sorveglianza di Bologna un'istanza di sospensione dell'esecuzione della pena motivata con le gravissime condizioni di salute del boss, più volte ricoverato al carcere di Parma dopo avere subìto, nel 2012, un intervento chirurgico al cervello per ridurre un ematoma provocato da una caduta in cella. La richiesta è stata respinta e i giudici hanno ribadito la pericolosità del capomafia. Pende ancora, invece, davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo il ricorso con il quale i difensori chiedono la condanna del nostro Paese per «il trattamento carcerario disumano» imposto a Provenzano. La Corte ha chiesto una serie di documenti e approfondimenti al governo.