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05/11/2013 13:04:00

La mafia, non facciamogli pubblicità

 di Leonardo Agate.    Ma pensate voi che sia davvero necessario inserire nello Statuto della Regione la frase:" La Regione ripudia la mafia"? Così sembra all'antimafioso Crocetta, presidente della Regione da poco scampato alla mozione di sfiducia dei grillini, e sopravvissuto non perché non ci sarebbero i motivi per sfiduciarlo, ma perché con lui cadrebbe l'intera assemblea regionale. Chi glielo fa fare ai ras di Sala d'Ercole di fare karakiri, quando ancora hanno quattro anni di mandato e di laute prebende da riscuotere?
Il presidente intende inserire nello Statuto la dicitura antimafia, come sul tubetto di un dentifricio si indica che é contro il tartaro, per venderlo meglio. Solo che la mafia, che non é solo un' organizzazione criminale ma anche un modo di pensare, non può essere sconfitta con dichiarazioni programmatiche.
Ci sono stati figuri istituzionali che contro la mafia ne hanno dette di cotte e di crude, salvo poi finire dentro per associazione mafiosa o per appoggio esterno alla mafia. Il presidente Cuffaro, ai bei tempi della sua lunga gestione di politica e cannoli, dichiarava che la mafia fa schifo. Nonostante questo, é finito ed é tuttora in carcere perché era inserito nel sistema criminale.
Un sindaco di Campobello di Mazara, Ciro Caravà, teneva in evidenza alle pareti del suo ufficio i calendari dei carabinieri e le foto dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Anche questo sindaco é stato associato alle patrie galere per decisione dell'autorità giudiziaria, che ha svelato la sua doppia faccia: antimafioso a parole, mafioso nei fatti.
I due superiori esempi possono essere aumentati di numero con i ricordi di ogni lettore dei giornali o osservatore dei fatti. La conclusione é che non bastano le dichiarazioni di fede nella rettitudine per emendare dai mali antichi la società siciliana.
Un colpo notevole all'organizzazione criminale detta mafiosa é stato inferto durante il fascismo dal prefetto Mori. Le leggi allora venivano applicate in modo meno garantista che adesso. Altri tempi ed altri metodi. Si dava pure il caso che il regime poliziesco del Duce era di per se stesso mafioso. Si trattò quindi di far prevalere una mafia sull'altra. Prevalse per venti anni il regime fascista.
Con l'avvento della Repubblica, cessato il regime precedente, il vuoto di potere criminale venne di nuovo occupato dai mafiosi latenti. La mafia si trasformò. Da agraria e periferica, diventò edilizia e cittadina. Il suo rinnovamento non fu un fatto casuale. Alla base di essa c'é una notevolissima mancanza di sentimento nazionale. L'assenza della coscienza di appartenere a una nazione, i cui interessi sono quelli di tutti i suoi cittadini, produce di necessità il bisogno di sentirsi ancorati a un potere diverso, che non provenendo dall'organizzazione statale deve pur ancorarsi a qualcos'altro. Ecco allora che di necessità si dà forza a organizzazioni ramificate che gestiscono rapporti di coesione criminale. La mafia, il suo successo in Sicilia, la sua esportazione all'estero o in altre regioni italiane, é frutto di un mancato processo d'integrazione nazionale.