La situazione aggiornata relativa relativa ai beni immobili confiscati alle organizzazioni criminali sul territorio nazionale è così suddivisa: 3786 immobili in gestione, 5861 immobili destinati già consegnati, 886 immobili destinati non consegnati, 474 immobili usciti dalla gestione. Il totale dei beni confiscati è 11077. Per quanto riguarda, invece le aziende, in Sicilia su un totale di 538 aziende confiscate alla mafia solo 85 sono uscite dalla gestione e sono ritornate allo Stato. Il numero complessivo delle aziende confiscate in Italia ammonta a 1708 di cui 1211 sono gestiti dagli amministratori giudiziari e 497 sono state riconsegnate, di queste il 36,48 per cento si trovano nell'Isola, il 20,32 in Campania, il 9,43 in Calabria, il 7,67 in Puglia e il 26,11 per cento sono distribuite nelle altre regioni. Questi sono i dati e le statistiche aggiornate al 2013 dall'Agenzia Nazionale per i beni confiscati.
«Bisogna apportare delle modifiche al Codice antimafia al fine di velocizzare tutte le procedure nella gestione e utilizzo dei beni confiscati alla mafia»: a ribadirlo è il presidente della Sezione misure e prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, nel corso del convegno,"La scoperta dei beni confiscati verso l'utilità pubblica", organizzato da Confindustria Palermo e dall'Ordine degli avvocati. Al convegno hanno preso parte, come relatori, magistrati, avvocati, amministratori giudiziari e imprenditori.
«Sono d'accordo con il prefetto Caruso quando rileva che la legge antimafia va cambiata - ha dichiarato il giudice Saguto - perché è piena di criticità, soprattutto in fase di udienza di verifica dei crediti, perché non consente di verificare la buonafede che si può esercitare solo nella fase della procedura concorsuale. L'accertamento dei crediti pregressi è la prima criticità».
Scongiurare la prospettiva della liquidazione e del fallimento delle aziende confiscate alla mafia è stato il tema centrale del dibattito, una sfida lanciata dall'amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara e dai giovani imprenditori del capoluogo, con l'obiettivo di far entrare nell'associazione le aziende confiscate alla mafia, per iniziare e diffondere dall'interno un percorso di legalità e far sì che tutte le aziende possano piazzarsi sul mercato ed essere competitive allo stesso modo, seguendo regole ben precise grazie anche all'impegno di Confindustria.
Per il presidente Alessandro Albanese, «Confindustria ha già dato una grande disponibilità alle aziende confiscate che escono dalla distorsione del mercato. Sappiamo che ci sono difficoltà enormi quando queste rientrano nelle regole del mercato, sia con i fornitori sia con i clienti e che il recupero del credito è difficile: per questo abbiamo assicurato il nostro impegno».
La tutela delle imprese e dei lavoratori nell'ambito dei beni confiscati è «un'esigenza stringente - ha detto Ugo Riccardo Tutone, del Gruppo giovani imprenditori di Confindustria Palermo -. Per questo motivo stiamo portando avanti una iniziativa con le associazioni di categoria, la magistratura e gli esponenti della sezione misure di Prevenzione per mantenere i livelli occupazionali nell'ambito dell'attività dell'amministrazione giudiziaria».
«L'amministratore giudiziario non può limitarsi ad essere un custode, poiché oggi non esiste più un tipo di ricchezza statica, ma deve prendere in carico una realtà economica complessa che fino al giorno prima aveva una sua vita e deve vedere come farla proseguire sul mercato - ha aggiunto Giovanbattista Tona, consigliere di Corte d'Appello di Caltanissetta -. Non sono d'accordo sul fatto che l'amministratore giudiziario debba essere un manager, ci vogliono persone con buone competenze manageriali, ma occorrono altre competenze per prevenire il rischio di infiltrazioni. L'amministratore giudiziario deve interpretare un nuovo ruolo».
Per l'avvocato Nino Caleca bisogna creare il manager della legalità. «Spesso, quando l'impresa è sospettata di essere uno strumento della criminalità organizzata - ha spiegato -, il sequestro di prevenzione costituisce un momento drammatico; la sfida per lo Stato che interviene per difendere e affermare la legalità, deve invece essere quella di trasformare questo momento drammatico in un momento dalla portata salvifica tale da vincere la paura della nomina dell'amministratore giudiziario. La legalità deve avere un volto affascinante e non essere vista come una sciagura. L'impresa deve far parte di diritto di una zona franca della legalità, con precedenza totale nei rapporti con le banche e le amministrazioni e avere sgravi fiscali e contributivi che permettano di far vivere il momento del sequestro come un momento di liberazione e non di oppressione. Così l'azienda non sarà costretta a licenziare nessuno, ma dovrà occuparsi di restare sul mercato».
Per il presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Caltanissetta, Antonio Balsamo, «ammonta a 40 miliardi la somma complessiva del patrimonio costituito dai beni confiscati in Italia secondo le stime della Direzione nazionale antimafia, una cifra che non trova altri precedenti, quindi occorre riscrivere alcune parti del Codice antimafia che riguarda la gestione dei beni confiscati e nello stesso tempo bisogna aprire un tavolo con l'avvocatura, la magistratura, l'imprenditoria, i sindacati e gli enti territoriali».