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22/11/2013 06:50:00

Stato - mafia, il racconto del pentito Giuffrè al processo sulla "trattativa"

 Con l’audizione in videoconferenza del pentito Antonino Giuffrè  si è tenuto ieri a Palermo, nell’aula bunker del carcere Ucciardone, il processo sulla trattativa Stato-mafia. Presente anche il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo. Grande assente il sostituto procuratore Nino Di Matteo. E' stata la prima udienza dopo giorni difficili, durante i quali sono emerse le minacce di morte che il boss Totò Riina avrebbe rivolto a Di Matteo dalla sua cella del carcere milanese di Opera dov’è rinchiuso.

Le minacce hanno alzato ulteriormente il livello d’attenzione sui magistrati che reggono l’accusa nel processo che vede imputati fianco a fianco uomini di Cosa nostra, politici ed ex ufficiali dell’Arma. Nei giorni scorsi a Palermo una grande manifestazione di solidarietà ha portato in piazza migliaia di cittadini. 

“Nel ’91 partecipai alla famosa riunione della resa dei conti di Cosa nostra dove si decise l’eliminazione dei politici ritenuti inaffidabili, come Lima, i Salvo, Mannino, Vizzini e Andò, e i magistrati ostili come Falcone e Borsellino“. Così Nino Giuffrè ha descritto la dichiarazione di guerra pronunciata dal boss Totò Riina in una drammatica riunione della Commissione. Il pentito ha aggiunto che dal 1987 la mafia spostò i suoi voti dalla Dc al Psi e ai Radicali.

Giuffrè è tra i pentiti più importanti di Cosa nostra, in passato ha fatto rivelazioni sui presunti rapporti tra l’ex presidente del Consiglio Giulio Andreotti e il banchiere del Banco Ambrosiano Roberto Calvi.

“Dopo la riunione – ha aggiunto il pentito – iniziò una politica di aggressione a chi veniva considerato un traditore”. La riunione della “resa dei conti” avvenne a dicembre del 91, poco dopo la cassazione confermo’ gli ergastoli del maxiprocesso. “Fu la goccia che fece traboccare il vaso”, ha detto Giuffrè. “Ma già a dicembre si vociferava – ha aggiunto – che la sentenza sarebbe andata male”.

Nino Giuffrè ha anche parlato del periodo successivo alle stragi in cui morirono i magistrati Falcone e Borsellino. ”Nel ’93, dopo incontrai Provenzano. Era un altro uomo: aveva adottato la strategia del ‘calati iunco che passa la piena’. Aveva un atteggiamento da ‘vergine’ come se le colpe di quanto fosse accaduto fossero solo di Riina”. Lo ha detto il pentito Nino Giuffrè deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia. “Provenzano – ha aggiunto – mi disse che si doveva mettere da parte l’attacco frontale allo Stato perché contro lo Stato si perde. Mi disse di non fare scruscio (rumore, ndr) e tornare ai discorsi antecedenti al cataclisma perché in sei o sette anni di questa strada ne saremmo usciti fuori”. Ma l’ala provenzaniana, dopo l’arresto di Riina, si contrappose a quella di Luca Bagarella, Giovanni Brusca ed altri fedelissimi di Riina che proseguirono l’attacco allo Stato con omicidi e con le bombe del 93. “Noi vivemmo quel momento quasi con paura – ha detto Giuffrè – perché le stragi avevano addirittura superato il Continente”.

“C’era il sospetto in Cosa nostra che Provenzano avesse contatto con le istituzioni. Con gli sbirri. Non avevo notizie ufficiali ma erano voci che giravano. Anche all’inizio degli anni ottanti i vecchi di Cosa nostra dicevano di stare attento a Provenzano sulla ‘sbirritudine’ e le tragedie”.

“Queste stesse voci giungevano negli anni Novanta da ambienti mafiosi di Catania -ha aggiunto- e in più si diceva che pure la moglie di Provenzano fosse vicina agli sbirri, che Provenzano facesse arrivare informazioni agli sbirri attraverso sua moglie”. Giuffre’ ha continuato: “Provenzano un giorno mi chiese: ma tu credi che io sia sbirro? Io non potevo contraddirlo e gli dissi: lungi da me”. Sicuramente dopo l’arresto di Riina il gruppo mafioso piu’ vicino a Provenzano (Giuffre’, Aglieri, benedetto Spera) penso’ “che lo avevano venduto. Anche perche’ era molto strano -ha riferito Giuffre’- che dopo l’arresto di un latitante le forze dell’ordine non facessero irruzione immediata nel suo covo per perquisirlo”. Mentre secondo Giuffre’ “Toto’ Riina era considerato un purosangue, un malandrino al cento per cento”, che non dava informazioni ma a volte riceveva informazioni.

La Corte di Assise di Palermo, che celebra il processo sulla trattativa Stato-mafia, ha inoltre annunciato, prima dell’inizio della testimonianza di Giuffrè, depositerà a disposizione delle parti la lettera inviata ai giudici dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Il presidente della Corte ha reso noto che nella missiva Napolitano, tra l’altro, pur manifestando la sua disponibilità a deporre, ha chiesto che si valuti ulteriormente il “reale contributo della sua testimonianza, tenuto conto della limitata conoscenza dei fatti”.

Il deposito verrà effettuato probabilmente domani nella cancelleria della corte d’assise che celebra il processo. ”Allo stato – ha detto il presidente Alfredo Montalto – non sono consentiti nè la lettura dibattimentale, né l’acquisizione al fascicolo del dibattimento, pertanto si ritiene di mettere la lettera a disposizione delle parti processuali”.

In apertura di udienza tante le attestazioni si solidarietà a Di Matteo. “Sono venuto nella aula bunker dell’Ucciardone a Palermo oggi alla udienza del processo sulla trattativa Stato mafia per stare qualche ora in silenzio al fianco dei magistrati e dire loro che non sono soli. In collegamento oggi con l’udienza ci sarà chi ha mandato segnali inquietanti che pongono interrogativi e dubbi”. Così don Luigi Ciotti, presidente dell’associazione Libera, che al processo sulla trattativa Stato mafia si è costituita parte civile, spiega il significato della sua presenza dopo le recenti minacce di ‘Cosa nostra’ al pm Nino Di Matteo e ai magistrati che si occupano dell’inchiesta.

“Sono qui per esprimere vicinanza ai colleghi che sostengono l’accusa nel processo Stato-mafia – ha commentato il capo della Procura della Repubblica di Palermo -. In primis a Nino Di Matteo Matteo ma anche a Roberto Tartaglia, Francesco Del Bene e Vittorio Teresi. E’ una esigenza che mi è stata espressa ieri pomeriggio da tutti i magistrati della Procura di Palermo nel corso di una assemblea che abbiamo fatto al palazzo di giustizia”.