La crisi abbatte i redditi delle famiglie e delle imprese ed estende le maglie dell’usura anche su aree del Paese che fino a poco tempo fa risultavano impermeabili a questa piaga. A lanciare l’allarme è una delle indagini presentate oggi nel corso della Giornata nazionale per la trasparenza e la legalità, promossa da Unioncamere, che dedica uno specifico focus a questo fenomeno dilagante. Dalla ricerca emerge che, nel 2012, 11 milioni e 275mila italiani (pari al 18% della popolazione residente) risiedevano in province con un basso rischio di indebitamento patologico o di esclusione dal credito, mentre solo nel 2010 erano oltre 17 milioni (pari al 28% della popolazione).
L’usura, in questo sfondo, riceve un’oggettiva incentivazione anche per trasformarsi in occasione privilegiata per le mafie di avere denaro da gestire, una liquidità che consente alle organizzazioni di riciclare denaro sporco ed entrare sempre più facilmente nel circuito del credito legale e in territori tradizionalmente vergini dal punto di vista dell’aggressione mafiosa. Una ulteriore e lucrosa fonte di reddito, quindi, per un sistema complesso che, grazie alle sue molteplici forme d’azione, fattura decine di miliardi di euro.
Anche su questo fronte, quindi, si sta progressivamente orientando l’attività degli 52 Sportelli per la legalità, costituiti in questi anni dalle Camere di commercio. Strutture di riferimento e di supporto agli imprenditori che rischiano di diventare (o già sono divenuti) vittima dell’illegalità. Sui medesimi temi, peraltro, Unioncamere ha recentemente siglato tre Protocolli d’Intesa con Libera, Interesse Uomo e Transparency International-Italia, che rafforzeranno l’attività degli Sportelli camerali.
“Promuovere la legalità è una grande occasione per il nostro Paese, un diritto che dobbiamo assicurare alle tante imprese e famiglie che lavorano secondo le regole”, sostieneil presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello. “L’economia illegale al contrario, considerata in tutte le sue svariate manifestazioni – i mercati illeciti, l’usura e il racket, la corruzione, la contraffazione, le ecomafie, il riciclaggio, il lavoro nero, l’evasione e l’elusione fiscale – altera le regole del gioco e distorce il mercato; svilendo così il lavoro, mortificando gli investimenti, distruggendo la proprietà intellettuale, ostacolando il credito, intimidendo la libertà di impresa. Ripristinare un contesto di chiara e leale competizione tra i soggetti del mercato è condizione imprescindibile per un sistema economico moderno e sviluppato, giusto ed attrattivo. La lotta alla criminalità economica è pertanto una priorità del terzo millennio”.
In meno di tre anni – sostiene Maurizio Fiasco nella sua indagine “Indebitamento patologico e credito illegale nella crisi attuale”, promossa dalla Camera di commercio di Roma – la stretta finanziaria che dapprima si concentrava sulle microimprese ha posto sotto attacco anche società a sufficiente capitalizzazione e patrimonio. Nuovi territori, soprattutto del Nord Ovest e dell’Emilia Romagna, sono diventati terreno di conquista di questa attività criminosa, che ha due aree di concentrazione: nel Mezzogiorno (soprattutto Campania e Calabria) e nelle province di confine dell’area nord-occidentale. La diminuzione dei ricavi e dei margini dovuto alla congiuntura, il razionamento e la definitiva esclusione dall’accesso al credito, gli insuccessi nel fronteggiare le crisi aziendali, l’accumulazione di crediti in sofferenza e di irrecuperabili insolvenze, la fragilità strutturale dell’impresa, la presenza in un mercato fortemente influenzato dalla criminalità e la concorrenza sleale di operatori del sommerso e con margini operativi in nero sono le condizioni principali che consentono al mercato illegale del denaro di proliferare. L’analisi – costruita sintetizzando in un indicatore unico quattro differenti indici settoriali di carattere finanziario, sociale, economico e criminologico – evidenzia che nel 2012 l’area del basso rischio nel nostro Paese si è contratta, fino a comprendere un gruppo di 25 province in cui vivono 11 milioni e 275 persone (pari al 18% della popolazione residente), circa 6 milioni in meno di quanto rilevato nel 2010. Esse sono collocate tutte nei territori centro-settentrionali e settentrionali del Paese. Secondo l’autore, si può attribuire alla forte penalizzazione dei settori manifatturieri che producono beni per il mercato interno una correlata comparsa del rischio usura nelle zone ad alta concentrazione produttiva (in particolare nei distretti).
Bolzano, Sondrio, Cuneo, Belluno, Trento le province che, nel 2012, risultano meno permeabili alla piaga dell’usura. All’estremo opposto della graduatoria in quanto territori a forte rischio di vulnerabilità si incontrano invece Napoli, Caserta, Reggio Calabria, Caltanissetta, Trapani. Rispetto all’analisi effettuata nel 2010, la “perdita” di posizioni, equivalente alla retrocessione in area di rischio, è massima per Bologna (che dalla quarta posizione del 2010 si colloca ora alla 33esima), Prato (53esima nel 2012, 28esima nel 2010), Modena (scesa al 41esimo posto dal 16esimo registrato tre anni prima), Forlì-Cesena (29esima nel 2012, sesta nel 2010), Torino (che passa dal 31esimo al 52esimo posto nel 2012) e Milano (in discesa dal 14esimo al 35esimo posto nel 2012).