E non alla mafia, o comunque non solo. Perché le indagini di mafia da qui passano solo di striscio prima di passare per competenza alla Dda di Palermo coordinata da Teresa Principato. Quello che nella Trapani che negli ultimi anni, forse più di ogni altra città della Sicilia, ha beneficiato di un fiume di soldi pubblici per opere portuali, edilizia, servizi alle cooperative, formazione professionale, non fa dormire sonni tranquilli a tanti è quell’intreccio tra politica, cosche e imprenditoria locale che sottende ancora allo strapotere dell’ultimo grande latitante di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro.
«Abbiate paura tutti»: basta questa frase contenuta nell’ultima busta anonima arrivata al Palazzo di giustizia, questa volta indirizzata ad una giovane pm con dentro una pagina di giornale e la foto di una donna terrorizzata, a far capire quale sia l’obiettivo della mano che alterna telefonate minatorie, a lettere, ad atti di pressione ben più significativi, come l’installazione di quella microspia rinvenuta qualche settimana fa sullo stipite della porta dell’ingresso secondario del palazzo di giustizia normalmente utilizzato dal procuratore Viola e dagli altri magistrati. Una microspia innocua, non in grado di funzionare, non del tipo in dotazione alle forze dell’ordine. Una microspia che aveva un solo obiettivo: dimostrare ai pm che il dispositivo di sicurezza elevato attorno a loro dal comitato ordine e sicurezza (che dopo le ultime minacce ha rafforzato scorte e tutele) non è affatto inviolabile. Né a Trapani né a Palermo dove Viola torna per il fine settimana e dove una mano ignota è arrivata a sfidare i controlli intrufolandosi fin dentro l’ascensore dello stabile dove abita il magistrato per lasciare lì l’ultimo avvertimento sotto forma di graffito.
Al lavoro come sempre nella sua stanza, “protetto” dalla foto di Falcone e Borsellino alle spalle, Marcello Viola rispetta la consegna delsilenzio. Quello che ha da dire lo ha detto alla collega di Caltanissetta Lia Sava che indaga sui tanti episodi intimidatori e che nei giorni scorsi lo ha ascoltato insieme al sostituto Andrea Tarondo: qui la risposta a minacce e intimidazioni è il lavoro. «Non abbiamo dubbi che dietro tutta questa serie di episodi che ormai da un anno e mezzo si susseguono ci sia un’unica regia che prova ad intervenire con la classica strategia della tensione — dice un investigatore — questa è una città in cui fino ad ora non si è mai riusciti a spezzare il forte legame tra diversi ambiti di potere e lacriminalità organizzata. Gli intrecci tra mafia, massoneria, ambienti politici ed economici emergono da anni in ogni inchiesta che tocca la cosiddetta area grigia. Trapani è ancora al centro di tanti misteri irrisolti, le inchieste ci sono e ci sono state ma il cammino giudiziario qui è sempre stato irto di ostacoli. Sono le sentenze che tardano ad arrivare». E di fascicoli delicati il cui evolversi la città segue con il fiato sospeso ce n’è più d’uno. Ma di certo quello che fa serpeggiare paure ed inquietudini è quello che vede protagonista un sacerdote che di stanze del potere negli ultimi anni ne ha frequentate molte: dai vertici della Curia ai piani alti della politica. Perche’ Don Ninni Treppiedi, il prete sospeso a divinis dal Vaticano per lo scandalo degli ammanchi milionari nelle casse della Diocesi di Trapani ormai da quasi quattro mesi ha deciso di collaborare con i pm che lo hanno inchiodato alle sue responsabilità per quei beni immobili da lui venduti come se fossero beni personali. La sua testimonianza al processo per mafia poi conclusosi con l’assoluzione del senatore Tonino D’Alì è stato solo l’assaggio. Proprio frequentando lo stretto entourage del senatore il sacerdote ha intrecciato tutta una serie di fitte relazioni con il mondo della politica e dell’amministrazione che ha coltivato sapientemente portando i magistrati della Procura di Trapani fino alle sacre stanze dello Ior. Di cose da raccontare ai pm, su come si è mosso in questi anni il potere a Trapani, don Treppiedi ne ha tante a giudicare dalle pagine di verbale che sono state secretate agli atti di diverse delicate indagini sulla pubblica amministrazione, sul voto di scambio alle ultime elezioni, ma anche sui patrimoni illeciti accumulati da imprenditori volto più o meno pulito delle cosche. Ecco, potrebbe essere forse nelle indagini patrimoniali portate avanti da una Procura che negli anni ha disintegrato imperi economici come quello del patron della Valtur Carmelo Patti e del re dei supermercati Giuseppe Grigoli, la chiave di volta di quel fiato sul collo sui pm di Trapani.
Alessandra Ziniti - La Repubblica