In un articolo pubblicato su Il Ticino dal futuro presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, nel tempo del passaggio dal Regno alla Repubblica, venne lanciato un monito: via i Prefetti, per cominciare a liberare l'Italia dall'inefficienza burocratica. I Prefetti rappresentarono e rappresentano l'occhialuto Stato, e ne sono la plastica immagine del potere in ogni Provincia. Addetti alla direzione dell'ordine pubblico in ogni circoscrizione - ma ci sono i sindaci, i presidenti della Regione, i carabinieri e i poliziotti - svolgono anche funzioni amministrative che potrebbero essere trasferite, semplificando, agli enti locali. Nel deprecato ventennio della dittatura furono utili al capo, che da loro riceveva le relazioni dettagliate sulle persone invise al regime. Quando ancora i servizi segreti non erano ben strutturati, furono la spia del regime. Nella precedente età giolittiana avevano condizionato l'elettorato con quello che potevano dare o negare.
Benché nella Costituzione repubblicana non siano mai citati, sono stati mantenuti in vita con un provvedimento del dopoguerra.
Occupano in ogni Provincia i palazzi del governo, e abitano in appartamenti arredati a spese nostre, i cui mobili sono autorizzati a cambiare in occasione di ogni trasferimento.
Di volta in volta, gli vengono assegnati nuovi e provvisori compiti, per le emergenze naturali o umane, come negli ultimi anni il controllo dell'arrivo e della permanenza degli immigrati irregolari. Un compito, questo, come altri, che lo Stato non riesce a tenere sotto controllo e che i Prefetti gestiscono con burocratica inefficienza.
Il governo Letta, in mezzo al mare magnum delle riforme necessarie, ha pensato bene di aumentarne il numero. Adesso sono diventati più di duecento. Ma le Province, che tra l'altro sono sempre sul punto di cadere, sono poco più di un centinaio. Un centinaio di Prefetti, quindi, sono in esubero. Per quelli senza sede non c'é turn over che conti, non c'é restrizione della spesa pubblica che avanzi. Il provvedimento del Governo é di aumentarne il numero. Anche senza sede, e senza quindi svolgere le funzioni, percepiscono il loro lauto stipendio, e vivacchiano nei ministeri.
Il presidente del Consiglio, resosi conto che il Paese non può essere rivoltato con le contrastate riforme, ha indicato nella politica del "cacciavite" la possibilità di sbullonare le vecchie incrostazioni. L'idea é buona, in attesa del meglio. Ma con i Prefetti ha girato meglio la vite, piuttosto che svitarla.
Forte della previsione autonomistica della Carta costituzionale, Bossi riprese l'idea einaudiana e propose l'eliminazione delle Prefetture. Il suo allora fedele Maroni, ministro dell'Interno, andò al Viminale con questo proposito, che non realizzò, come non riuscì a realizzare gli altri.
Nella stessa tornata di provvedimenti in cui i Prefetti inutili sono aumentati di numero, é stata ridotta di un anno la durata della specializzazione dei medici. Avremo quindi medici meno competenti, e Prefetti più numerosi. Il bilancio della spesa é salvo. I Prefetti costano e la spesa é stata recuperata con il risparmio di quella per gli specializzandi.
Mentre Letta va e viene da Napolitano per affrontare i grandi temi irrisolti, trova il tempo di curare piccoli interessi di funzionari che vogliono più soldi.