di Leonardo Agate. Giorgio Napolitano, il presidente della Repubblica, é un uomo per tutte le stagioni. E' un titolo di sopravvivenza, ma anche un limite. Ancora liceale si iscrisse al GUF (Gioventù universitaria fascista), e vi operò attivamente. In epoca recente si é giustificato affermando che in quell'ambiente si respirava la fronda al regime. Sarà... Quando a Napoli si preparò l'arrivo clandestino di Togliatti - il fascismo crollava sotto le bombe - si avvicinò ai partigiani partenopei. Nel dopo guerra divenne funzionario del Pci, e giovane molto vicino al Migliore. Talmente vicino che, in occasione dei soggiorni del capo a Capri con la compagna, ne fu il maggiordomo con il compito di filtrare le richieste di visite. La sua intelligenza e fedeltà lo aiutarono a scalare la gerarchia del partito. Nel 1956 si schierò sulla linea ufficiale del partito, scrivendo sull'Unità che i carri armati sovietici in Ungheria avevano operato per la difesa della democrazia contro le spinte controrivoluzionarie, per il bene della pace mondiale. Di questa vistosa pecca, ha fatto di recente ammenda ambigua. Suoi compagni, che in seguito ai fatti di Ungheria lasciarono il partito, ebbero vita grama e furono emarginati.
Fu sul punto di essere nominato segretario del Pci dopo Berlinguer, ma gli prevalse Natta, di cui fu vice non ufficiale. Con la segreteria di Berlinguer entrò in disaccordo, facendo capo alla linea migliorista, che prevedeva un dialogo con la sinistra europea e con i socialisti italiani. La questione morale, propugnata da Berlinguer, gli sembrò eccessivamente dura, e secondo lui avrebbe isolato i comunisti nel frastagliato panorama italiano. Divenne allora allievo diligente di Amendola, che rappresentava l'apertura a collaborazioni anche di tipo governativo con i partiti avversari.
La sua ascesa politica é stata costante. E' stato ripetutamente eletto al Parlamento italiano e dopo al Parlamento europeo. E' stato dall'81 all'86 capo gruppo comunista alla Camera. E' stato presidente della Camera. Dopo Ciampi, é stato nominato presidente della Repubblica. Ha firmato decreti che sono stati successivamente dichiarati in tutto o in parte incostituzionali. Alla fine del primo settennio al Quirinale, ha lasciato una situazione di ingovernabilità tale, che nemmeno si riusciva a trovare una maggioranza capace di eleggere un successore. Giocoforza, apparve a destra e a sinistra che la nuova nomina a lui potesse essere la soluzione auspicabile per avere un presidente. Così é venuto meno alla reiterata promessa che mai si sarebbe ricandidato. La sua giustificazione é stata che il senso del dovere e del bene pubblico lo costringeva ad accettare la nuova proposta.
Durante il suo primo settennato, le dichiarazioni programmatiche dei governi che si sono succeduti - Prodi, Berlusconi, Monti e Letta - hanno avuto al primo posto le riforme della legge elettorale, della giustizia, della burocrazia, del fisco, della spesa pubblica. Tutti problemi rimasti al palo. Gli ultimi due governi sono stati, oltre che nominati, diretti da lui, usando estensivamente i mezzi concessigli dalla Carta costituzionale. Ma non sono stati fatti passi avanti, oltre le chiacchiere.
Nel discorso di fine anno, letto sul "globo", invisibile ai telespettatori, ha auspicato ancora le necessarie riforme, accompagnandole con la promessa che se ne andrà prima della scadenza del mandato, quando la sua permanenza sul Colle non sarà più necessaria. Ma sarà difficile che l'opera programmata possa essere realizzata in poco tempo, sia per la conflittualità tra i partiti e i movimenti, sia per la limitatezza dei suoi poteri.
Nel discorso di fine anno di Grillo, fatto in streaming in contemporanea con quello del presidente Napolitano, il comico - politico parlando a braccio, con piglio da giovane leone, ha accusato la classe politica e il presidente di fare sistema antiquato.
Anche i quarantenni, in senso a quella classe, - ha detto - hanno le caratteristiche dei vecchi. Grillo ha buoni motivi per affermare che i vecchi partiti, in cui sono anche inseriti i giovani, ed il presidente della Repubblica sono quelli che promettono e non mantengono, e che di loro non si può avere fiducia.