“Il mio pupillo”, “L’uomo che un giorno prenderà il mio posto”. Così, secondo le attendibili ricostruzioni di diversi collaboratori di giustizia, il capo dei capi di Cosa nostra, Totò Riina, definiva il giovane Matteo Messina Denaro. I motivi di stima erano tanti: Riina non aveva mai avuto un erede con la sua spietatezza, e quel giovane di Castelvetrano, figlio di un alleato fedelissimo dello zio Totò, non solo aveva partecipato all’ultima parte della guerra di mafia dei Corleonesi per l’eliminazione fisica delle famiglie avversarie, ma aveva dimostrato sangue freddo, lucidità negli affari, e ambizioni.
Riina ha visto crescere Matteo Messina Denaro. Nella sua decennale latitanza, passava molto tempo, soprattutto in estate, a Mazara del Vallo, oppure a Selinunte, dove era ospite dei Messina Denaro, andava in barca con Matteo e gli altri, acquistava e vendeva terreni, veniva accontentato in tutto, si meravigliava del genio che c’era in quella famiglia criminale. Come quell’ascensore nascosto – roba da fumetti, se Riina ne avesse mai letto uno – che nella gioielleria dell’amico di Matteo, Vincenzo Geraci, portava in un caveau sotterraneo. Si innamorò di quel posto, Riina, e decise che lì andava custodito il suo tesoro: monete d’oro, parecchi soldi, opere d’arte, spille d’oro con la mascotte dei Mondiali di Calcio Italia ‘90. Le buone cose di pessimo e villano gusto della mafia siciliana. Collier, orecchini, Cartier, crocifissi tempestati di brillanti, diamanti, sterline e lingotti d’ oro ed altri preziosi per un valore di oltre due miliardi di lire. Un caveau che Riina in alcuni casi utilizzò anche come nascondiglio.
Che genio che era Matteo, e che giovane. A Riina piaceva parecchio. Quando volle fare la “super cosa”, l’organismo ristretto che, al posto della Cupola, avrebbe preso le decisioni sulle stragi del ‘92, tra i pochissimi invitati al suo tavolo volle proprio il rampollo dei Messina Denaro. E il giovane di Castelvetrano era il suo inviato per le missioni più delicate. Lo manda a Roma per pedinare ed uccidere Maurizio Costanzo, che aveva parlato male della mafia in una sua trasmissione televisiva. Matteo si dà alla bella vita in attesa dell’ordine. Riina manda un un altro messaggio: pedinare ed uccidere Giovanni Falcone, che in quel periodo è a Roma. Matteo scopre che il giudice Falcone va a mangiare ogni sera sempre nella stessa trattoria all’aperto: un colpo di pistola, ed è fatta. Ma Totò Riina lo richiama alla base. Falcone deve morire, si, ma in un modo particolare, “spettacolare” dice Riina ai suoi. E’ l’ “attentatuni” di Capaci.
Dunque all’inizio degli anni ‘90 i contatti tra Riina e Denaro erano frequentissimi. Il giorno in cui arrestarono Riina, il 15 gennaio 1993, Matteo Messina Denaro era lì a pochi metri, in Via Bernini,a Palermo, scampando al blitz per un soffio, ma con tutto il tempo di ripulire il covo e portarsi dietro i documenti più scottanti e importanti di Cosa nostra.
Riina il capo dei capi. Matteo Messina Denaro da Castelvetrano il suo erede.
Oggi, 20 anni dopo il loro ultimo incontro qualcosa è cambiato. Forse Riina si aspettava da Messina Denaro un qualche segnale di attenzione nei confronti della sua famiglia, forse è stato deluso da qualche mossa di Matteo, forse, semplicemente, dopo 20 anni di carcere duro e con l’età che avanza gli è anche un po’ sbroccato il cervello, come accaduto a Provenzano. Fatto sta che le le ultime dichiarazioni di Riina, intercettate mentre in carcere parla con un altro boss, Alberto Lorusso, esponente della mafia pugliese, durante l’ora d’aria sono, nei confronti di Messina Denaro, durissime.
Prima di addentrarci nel merito delle dichiarazioni di Riina, una premessa. Ma è normale che ad un boss al carcere duro sia consentito parlare durante l’ora d’aria con un altro boss? In tutti questi anni si è sempre sottolineata la capacità che Totò Riina avrebbe di mandare ordini anche dal carcere. E’ chiaro che se non fosse messo in condizione di parlare con altri boss il problema non ci sarebbe.
Altra cosa: Riina sa che quando parla è intercettato. E allora perché dice cose molto gravi su Di Matteo (“gli faremo fare la fine del tonno”9, sull’attentato a Chinnici (“mi sono divertito”) e sullo stesso Messina Denaro? O recita, perché sa di essere ascoltato, e vuole mandare dei messaggi all’esterno, oppure, anche qui, dobbiamo ricorrere all’idea di una non perfetta lucidità di Totò U Curto.
Ma cosa ha detto durante la sua conversazione con Lo Russo il nostro Riina? Contro Matteo Messina Denaro usa parole dure. Gli rimprovera di pensare solo agli affari. Lo chiama “Signor Messina” e la cosa che non gli dà pace è il fatto che si occupa troppo di energia eolica (“pali della luce”, così Riina chiama le pale eoliche) e poco di chi sta in carcere.
“A me dispiace dirlo questo… questo signor Messina – sbotta Riina – questo che fa il latitante che fa questi pali eolici, i pali della luce, se la potrebbe mettere nel culo la luce ci farebbe più figura se la mettesse nel culo la luce e se lo illuminasse, ma per dire che questo si sente di comandare, si sente di fare luce dovunque, fa luce, fa pali per prendere soldi ma non si interessa…”.
Il capo dei capi si rammarica dell’assenza del padre di Matteo, Francesco Messina Denaro: “ … ora se ci fosse suo padre buonanima, perché suo padre un bravo cristiano u zu Ciccio era di Castelvetrano… capo mandamento di Castelvetrano… a lui gli ho dato la possibilità di muoversi libero.. era un cristiano perfetto…questo figlio lo ha dato a me per farne quello che dovevo fare, è stato qualche 4 o 5 anni con me, impara bene, minchia tutto in una volta si è messo a fare luce in tutti i posti… fanno altre persone ed a noi ci tengono in galera, sempre in galera però quando siamo liberi li dobbiamo ammazzare”.
Meno male per Matteo Messina Denaro che Riina libero non torna..