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24/06/2014 22:19:00

L'immunità parlamentare e i danni di Tangentopoli

  I danni che ha prodotto Tangentopoli all'ordinato svolgimento della politica italiana vengono a poco a poco a galla. Dopo l'entusiasmo giustizialista, con le prime argomentate critiche negli anni successivi, e dopo la pubblicazione di numerosi saggi e libri sull'argomento, si sta scoprendo che non tutto oro era quello che luccicava. Un attuale caso riguardante l'immunità parlamentare, da concedere o da non concedere ai membri del nuovo senato da istituire, pone di nuovo all'attenzione dei cittadini un questione cruciale. Nel 1993, in pieno furore giustizialista, il Parlamento era alle corde, intimorito dall'opinione pubblica contraria e dall'invasione di alcune Procure d'assalto, in primo luogo quella di Milano. Non si ragionò più, in quei tempi tristi, in termini obbiettivi, ma il fine di chi agiva era condiviso e chiaro: abbattere la Prima Repubblica, per fondarne una nuova. Abbiamo toccato per mano com'é venuta questa nuova creatura, che si chiama Seconda Repubblica. Come Andrea d'Anna, liberale marsalese, pressappoco scrisse ad Abele Damiani al Parlamento di Torino, nella nuova Italia del Regno dei Savoia, "Dimmi Abele, ma era questa l'Italia che sognavamo?", si può ripetere una domanda simile a chi ha operato per la nuova Repubblica: "Ma era questa l'Italia che sognavamo?". La risposta non può che essere no, salvo che non sia rivolta a uno di quei truci giustizialisti che fanno continuamente convegni, con pochi ascoltatori ormai, sui benefici di Tangentopoli.
Che il sistema partitico di quei tempi era diventato marcio, non ci piove. Che il sistema tangentizio sugli appalti fosse all'ordine del giorno, é cosa sicura. Che i partiti, enormi mangiatoie, fossero foraggiati illegalmente dalle tangenti, non é dubbio. Che il finanziamento pubblico fosse fonte di ruberie varie, lo sappiamo tutti. Il fatto è che per rivoltare davvero l'Italia come un calzino, per utilizzare la colorita espressione dell'allora P. M. Antonio Di Pietro, non si doveva agire solo contro i partiti che sono stati eliminati, ma anche contro il Pci, che di quel sistema tangentizio e corrotto era tra i maggiori. Era nell'aria che si respirava che i rubli affluivano nascostamente ai comunisti italiani dall'U.R.S.S. per tutto il periodo in cui il comunismo reale resse. Il partito rosso aveva in più le altre ordinarie entrare illegali, legate alla corruzione negli appalti e alle ruberie sul finanziamento pubblico. Se fosse stato mandato al rottamatoio pure il Pci, allora sì che si poteva rifondare la Repubblica su basi nuove. Invece, eliminati tutti gli altri partiti tradizionali, e fatti entrare i comunisti al governo, nel vertice del potere ha continuato a fluire il marcio di prima, che ha corrotto, come una mela marcia, i partiti e i movimenti sorti dalle ceneri della Dc, del Psi, del Pli, del Pri, del Msi e di tutte le altre sigle che avevano formato il quadro politico fino ad allora. Insomma, del cancro é stata eliminata una parte, ma il residuo ha fatto metastasi.
Nel 1993, al culmine del furore della Procura di Milano, i politici imbelli hanno mutato il testo dell'art. 68 della Costituzione, quello dell'immunità parlamentare. Il vecchio testo prescriveva che nessuna azione penale potesse essere iniziata contro un membro di una delle Camere senza l'autorizzazione della Camera di appartenenza. I padri costituenti avevano previsto questa immunità per salvaguardare il principio della separazione dei poteri. Infatti, un'azione penale iniziata contro un parlamentare si tramuta , per la pubblicità conseguente, in un ostacolo gravissimo all'esercizio delle sue funzioni. Il parlamentare viene per ciò stesso delegittimato, e abbandonato da tutti gli avversare e da parte degli stessi amici. Nessuno vuole esporsi al ludibrio pubblico di difendere un inquisito. Eppure, nella nostra Patria, che é la culla del diritto, dovrebbero essere ricordati Beccaria e Montesquieu, che hanno scritto storici libri sulla necessità che la presunzione di innocenza deve valere per tutti, fino alla sentenza definitiva di condanna, e che l'equilibrio tra i poteri é la garanzia della retta vita delle organizzazioni statali. Ma chi può affermare che oggi un'informazione di garanzia non si tramuti, nello stesso momento in cui viene resa pubblica, in una condanna della moralità dell'individuo sottoposto a indagini? E se anche nel seguito del procedimento un giudice, dopo molti mesi e anche anni, riconoscerà l'estraneità dei fatti addebitati al presunto colpevole /innocente, il danno é stato già fatto. A livello politico ha dovuto perdere il posto, difficilmente in seguito recuperabile, ed a livello privato ne ha per sempre risentito la sua dignità. Ben poco ristoro può dare un trafiletto di poche righe sui quotidiani, in cui si dà notizia che quel presunto tipaccio era un buonuomo.
Oggi, a distanza di 21 anni stiamo di nuovo a discutere se é opportuno concedere l'immunità parlamentare ai membri del nuovo, istituendo Senato. Senza, però, andare oltre nel dibattito, e senza discutere dell'opportunità di reintrodurre la garanzia fino ad escludere di avviare l'azione penale senza l'autorizzazione delle Camere, vuol dire che ancora si é bloccati dal timore di incorrere nelle ire giustizialiste di Tangentopoli. Vuol dire, cioè, essere ancora impantananti nella melma dell'invasione del Parlamento da parte della magistratura. Montesquieu può rivoltarsi quanto vuole nella tomba, a sentire queste notizie provenienti dal Bel Paese, ma la melma di Tangentopoli ci inzacchererà ancora.