Da ormai diversi mesi a Marsala, tra lo stupore e la curiosità, ci si interroga riguardo l’identità, la provenienza, dei giovani immigrati africani che affollano ex hotel e case di riposo. Li troviamo spesso in strada, seduti, ad aspettare.
Si tratta di volti anonimi che celano storie ai limiti del reale. Anime vaganti che hanno abbandonato la loro terra natia in cerca di un avvenire migliore, riuscendo a sopravvivere a viaggi da incubo.
Le loro storie sono piene di momenti di terrore, episodi di violenza e pericoli costanti.
Fuggono dalla fame, dalla sete, dalla povertà e dalle guerre che dilaniano i loro paesi. Chiedono lo stato di rifugiati politici, come vuole la Convenzione di Ginevra del 1951 che sancisce il diritto d’asilo. Aspettano, inermi ed impassibili, il loro destino. Ma a volte l’esasperazione li porta in strada, a protestare. Come qualche giorno fa, in via Mazara, davanti l’ormai ex Hotel Acos che ospita oltre 100 ragazzi africani. O come successo lunedì a Castellammare, dove una cinquantina di migranti hanno bloccato la strada.
Aspettano, nel limbo delle procedure burocratiche che tardano a completarsi, l’evolversi della loro situazione. Un semplice timbro. Un documento.
Numeri, 100, 200 per ogni struttura. Oltre 2.500 ospitati in provincia di Trapani. In mezzo, però, ci sono storie. Non solo numeri, come le somme che paga il Governo per l’accoglienza. Ci sono storie di ragazzi come Alì, giovane guineano che ha lasciato la sua terra dopo la scomparsa dei genitori. Parla inglese, Alì, e racconta che da più di dieci mesi aspetta i “documenti”. Nel frattempo non ha ancora imparato l’italiano. “Nessuno ha organizzato un corso di lingua per noi”, dice, “ io voglio imparare l’italiano, altrimenti come faccio a comunicare con gli altri?”. Parla un perfetto inglese, questo ragazzo che non è mai andato a scuola. Altri conoscono il francese. Ci spiega che dove sono ospitati ci sono due gruppi, quelli che parlano francese e quelli che parlano inglese. “So che la gente spesso ci guarda in modo strano ma qui non ci permettono di far nulla, soltanto mangiare e dormire: questa non è vita. Io voglio fare qualcosa di buono per me ed aiutare quel che resta della mia famiglia”-
E’ la storia di un ragazzo di appena 18 anni proveniente dal Benin che mostra i segni delle violenze subite in Libia prima di salire su una delle tante carrette del mare che quasi a cadenza giornaliera attraversano le acque del Mediterraneo. Lui ce l’ha fatta, è stato fortunato. Racconta, con le lacrime agli occhi, la storia di un amico partito con lui con la speranza di un futuro diverso. Gli trema la voce, mentre ricostruisce i momenti in cui il suo compagno di viaggio è stato barbaramente ucciso per aver osato rispondere male a uno scafista. Uno dei tanti che su queste tragedie ci hanno costruito un business molto redditizio.
Mentre dilagano le polemiche riguardanti lo ius soli, l’operazione “Mare Nostrum” ed il ruolo dell’Europa in un fenomeno di portata globale e non solo nazionale, anche Marsala nel suo piccolo subisce gli effetti di queste ondate migratorie, considerato l’ingente numero di immigrati che risiede presso alcune strutture del territorio lilibetano.
In un’Europa ed in un’Italia in cui lo stato di rifugiato politico è diventata una questione di fortuna più che di diritto - visto che arrivare a destinazione costituisce di per sé un miracolo per chi intraprende un viaggio della speranza così tortuoso - non si riesce a fronteggiare un fenomeno tangibile che crea disagi tanto agli immigrati quanto al paese ospitante.
Lo stato delle cose sembra non essere destinato a cambiare a breve e ancora una volta saranno le piccole realtà del territorio a dover affrontare le “emergenze” da sole. Mentre l’Europa guarda dall’alto della sua posizione di potere ed i giovani immigrati, proprio come quelli che noi stessi stiamo ospitando, proprio come Alì, pagano con il sangue e con la discriminazione la semplice “colpa” di essere nati dal lato sbagliato del globo.
Gianmarco Maggio