dal nostro inviato Leonardo Agate. Nel complesso del Vittoriano a Roma é visitabile la mostra antologica di Mario Sironi, comprendente pitture ad olio su tela, su cartone, su legno, bozzetti di mosaici ed affreschi, realizzati in edifici pubblici, manifesti realizzati per pubblicizzare auto e l'industria, la Fiat, che li commissionò.
Lungo il percorso della mostra, che resterà aperta fino all'8 febbraio 2015, a cento cinquant'anni dalla nascita dell'artista, é rievocato il percorso di uno dei più grandi artisti italiani del Novecento.
Per avere realizzato opere mosaiche e murali nel solco della grandiosità fascista, rischiò di essere fucilato quando nel dopoguerra fu arrestato dai partigiani. Fu lo scrittore Gianni Rodari, che faceva parte del gruppo dei partigiani, a convincere i compagni che non poteva condannarsi un artista che visse intensamente l'arte, indipendentemente dagli esiti occasionali di un rapporto apparente con la dittatura mussoliniana.
Gli avvenimenti drammatici caratterizzarono l'intera sua esistenza. Una giovane figlia che si suicidò, la fame patita nel periodo in cui il crollo del regime, di cui appariva sostenitore, lo posero ai margini della società.
Le sue periodiche depressioni, forse collegate all'impossibilità di essere accettato dalla società degli artisti politicizzati, lo accompagnarono a intervalli. Se ne liberava producendo con drammatica evidenza maestose immagini di edifici e uomini incomprensibili allo sguardo di chi vorrebbe trovarci dentro una nota, anche una sola nota, di serenità.
Riguardo al suo legame con il fascismo, é sintomatico un grande dipinto di un uomo a cavallo, possente il cavallo e possente il cavaliere, in cui é riconoscibile il volto del Duce. Ma solo i gretti osservatori potranno vedervi l'adulazione del dittatore. Il contesto delle figure, di antiche architetture, ne fa invece un inno classico alla grandezza di Roma. Per riprendere una famosa frase di Vittorini, Sironi non suonò il piffero al regime. Ne fu soltanto l'interprete di uno dei motivi che lo caratterizzarono: il richiamo alle antiche glorie di Roma centro del mondo.
I primi quadri esposti, seguendo un andamento cronologico, appartengono alla fase del realismo post realista, che va verso l'espressionismo. Poi, ci sono i dipinti che si inseriscono nel solco del cubismo e del surrealismo. E non sono da meno delle opere di Balla o De Chirico.
La continua ricerca verso nuove forme espressive trova terreno fertile nelle commissioni per l'abbellimento con mosaici e affreschi i palazzi costruiti tra le due guerre. Nella mostra ci sono i bozzetti delle opere murali realizzate all'Aula Magna dell'Università di Roma, al ministero delle Corporazioni, Al Palazzo di Giustizia di Milano.
Nel secondo dopoguerra rappresentò, di nuovo con quadri ad olio, la crisi delle sue vecchie realizzazioni, in quadri in cui il precedente realismo, cubismo, surrealismo si fonde in contesti di alta drammaticità. Il rosso sangue che sporca le mani del pescatore o l'indistinto abbattersi di uomini e macerie su un piano appena rischiarato da due esili candele, nell'Apocalisse del 961, una delle sue ultime opere, evidenziano la scomposizione delle forme nel crollo finale, esito di ogni storia.
leonardoagate1@gmail.com